Ansia scolastica in adolescenza

ANSIA SCOLASTICA

adolescenti e ansia scolastica… come comportarsi?

I ragazzi passano a scuola, o nei suoi paraggi, la maggior parte del loro tempo; la scuola è il luogo in cui si sperimentano, ottengono i primi risultati e provano i primi fallimenti; forse hanno già fatto la prima scelta che riguarda il loro futuro iscrivendosi alla scuola superiore o forse sono ad un passo dal farne una più importante riguardo l’università.

Quindi è qui che esprimeranno la loro gioia, la loro rabbia e la loro paura… e la loro ansia.

Cos’è l’ansia scolastica?

È fisiologico che abbia paura di una nuova scuola o dell’interrogazione di matematica, se non ha studiato a dovere o se non è la sua materia preferita: la supererà e scoprirà che la nuova scuola ha più o meno gli stessi ragazzi simpatici o antipatici della vecchia e, la prossima volta studierà di più…

L’ansia è qualcosa di diverso dalla paura: non ha oggetto!

Possono essere irritabili (più del solito!); possono avere tachicardia, agitazione, insonnia, mal di pancia, mal di testa, tremori; potrebbero perdere interesse verso la scuola o verso lo sport o le loro passioni extrascolastiche… fino ad avere attacchi di panico veri e propri prima di entrare in classe.

I sintomi possono essere vari, quello che li accomuna è che in nessun caso i ragazzi riescono a dire cosa li turba, di cosa hanno paura… è un malessere diffuso, che riguarda la scuola o che lì si esprime, a cui non sembra esserci rimedio e che spesso sembra una valanga che aumenta di intensità man mano che passa il tempo…

Come nasce l’ansia?

Può essere che abbia un metodo di studio che andava benissimo alle medie, ma che ora, alle superiori, non porta risultati soddisfacenti e si rivela molto più faticoso di prima…

Oppure potrebbe essere che sta affrontando la terza media e non sa cosa scegliere per le superiori, e i docenti iniziano a prospettargli gli esami di fine anno come qualcosa di spaventoso e difficilissimo…

Se è in quinta superiore potrebbe essersi posto mille domande sul suo futuro a cui non sa rispondere, e gli esami di maturità… beh… ammettetelo che avete ancora qualche incubo in merito…

Potrebbe aver avuto qualche insuccesso scolastico, o qualche brutta esperienza con amici o fidanzati…

Ma queste esperienze non generano sempre e per forza su tutti i ragazzi stati d’ansia!

C’è dell’altro infatti: c’è la struttura familiare che potrebbe avere standard molto alti di prestazione, tanto che un voto appena sotto la media non è contemplato; oppure che sta attraversando un momento difficile, economicamente o emotivamente, e che quindi non riesce ad essere sufficientemente supportiva per l’adolescente.

Poi c’è il suo particolare modo di essere, di affrontare le sfide della vita, che affonda le sue radici nella sua infanzia, forse nel suo essere figlio unico e quindi nell’avere quattro occhi puntati addosso, o forse nella meticolosità che gli è stata impartita fin dalla nascita, o forse nel dover dimostrare di essere sempre forte e di non ascoltare i segnali del proprio corpo e delle proprie emozioni, ma di seguire solo la razionalità e la logica intellettuale.

Ultimi ma non meno importanti, i docenti. Sono loro che possono rassicurare i ragazzi sul programma studiato, sugli esami imminenti, sulle interrogazioni… sono loro gli adulti a scuola, perciò sono loro che devono prendersi cura di loro lì…

Una volta nata l’ansia si insinua sotto pelle e cresce, e genera uno stato confusionale che probabilmente causerà nuovi insuccessi e maggiori mal di testa o pancia, innescando un circolo vizioso che va interrotto il prima possibile! È ansia se accade frequentemente, se è persistente e se gli impedisce di vivere al meglio le esperienze che gli si presentano alla sua età.

In genere vi do dei consigli su come affrontare le problematiche fisiologiche degli adolescenti, questa volta no. Perché? Perché per interrompere un circolo vizioso serve un aiuto da casa… Si, perché quando l’ansia interessa un adolescente in casa, invade tutto il nucleo familiare, e ogni preoccupazione genitoriale circa il mal di testa che precede la mattinata scolastica, genera nel ragazzo ansia e così via…

Perciò non esitate a contattare uno psicoterapeuta che aiuti vostro figlio a focalizzare l’enorme mostro invisibile agli altri, ma ben presente agli occhi del ragazzo, e che lo sostenga mentre trova gli strumenti per sconfiggerlo. E che guidi voi genitori mentre gli state accanto.

Cosa farà un professionista insieme a vostro figlio?

Lo aiuterà a guardare in faccia ciò che lo terrorizza, lo aiuterà a fare un esame di realtà circa le paure reali e le paure immaginarie che rispondono alla domanda “E se…”.

Per ogni “E se farò scena muta all’interrogazione?”, “E se non farò amicizia con nessuno nella nuova scuola?”, impareremo insieme che esiste un qui ed ora, un respiro profondo che lo riporterà al reale, alle paure che possono essere toccate, viste e affrontate e sconfitte.

Comprendere la vera emozione celata sotto l’enorme nube nera dell’ansia, aiuterà a trovare i giusti attrezzi per accettare la tristezza, per trasformare a rabbia e rassicurare le paure…

Un intervento tempestivo sarà non solo più efficace, ma favorirà un percorso più breve, perché non occorrerà agire su un qualcosa di radicato e pervasivo.

Probabilmente sarà necessario che il terapeuta incontri i docenti per cercare insieme strategie più efficaci nello studio, nelle verifiche e nelle relazioni scolastiche. Dove per strategie efficaci non intendo eliminare le interrogazioni o semplificare il percorso scolastico del ragazzo (a meno che non ci siano diagnosi di Disturbi di Apprendimento), questo potrebbe solo portarlo a pensare di non essere capace. Intendo frasi rassicuranti, e un approccio consapevole allo specifico adolescente.

Anche la famiglia parteciperà al percorso terapeutico, sarà sostenuta e coinvolta nel viaggio del ragazzo, scoprirà nuovi modi di accogliere le sue emozioni e di stargli accanto, per ritrovare l’equilibrio perduto.

La gioia dei bambini

LA GIOIA

Ultima nella nostra carrellata di emozioni, ma non meno importante, troviamo la Gioia!

Vi chiederete che ci può mai essere da sapere o da consigliare quando il mio bambino è felice? Va tutto benissimo quando prova gioia!

Beh non è proprio così…

FACCIAMO UN PO’ DI CHIAREZZA…

La gioia è l’emozione che sentiamo quando c’è qualcosa che è coerente con i nostri bisogni: quando un neonato affamato viene allattato prova gioia, quando un bimbo vede la mamma dopo una giornata a scuola prova gioia, quando otteniamo il lavoro dei nostri sogni proviamo gioia… pensate a tutte le volte in cui avete provato gioia e probabilmente vi verranno molti esempi simili a questi.

Ma c’è un altro tipo di stimoli che generano gioia: conseguire un obiettivo. Arrivare sulla cima di una montagna dopo essersi esercitato molto farà provare gioia ad un alpinista, il conseguimento della laurea dopo molti esami sarà fonte di gioia per il laureando, il primo bacio della ragazza corteggiata genererà gioia…

La gioia è l’unica emozione positiva, è quella che ci permette di riposarci dopo le emozioni negative, è quella che ci predispone ad aprire i nostri orizzonti per esplorare il mondo intorno a noi. Le altre emozioni sono direzionate ad un unico singolo stimolo oggetto di rabbia, tristezza o disgusto o sorpresa, la gioia invece allarga la veduta a tutto l’insieme, ci aiuta ad accogliere le novità e gli altri con atteggiamento aperto e curioso.

Inoltre l’emozione è per sua natura comunicativa, siamo irrimediabilmente attratti da un’espressione come quella della meravigliosa bimba in foto.

Se l’espressione della rabbia e del disgusto allontanano, se la tristezza porta gli altri ad essere empatici e la sorpresa è quasi solo nostra, la gioia no: la gioia porta ad avvicinare gli altri.

È l’emozione che porta a migliori relazioni sociali, ad essere maggiormente supportati dall’ambiente che ci circonda, a creare nuovi rapporti.

C’è un’unica clausola: non si può fingere di gioire… Anche in questi tempi duri in cui abbiamo sempre un paio di mascherine e qualche metro di distanza tra noi e il prossimo, due occhi che sorridono di pura gioia sono inconfondibili.

Ma… c’è un ma…

Bisogna essere educati alla gioia! Ed è qui che entrate in gioco voi genitori…

Ancora una volta la regola più importante è saper provare gioia in prima persona. Per i bambini è importante osservare un genitore in grado di gioire per un traguardo raggiunto o per una sfida superata, e di godere di un giusto riposo dopo e in grado di condividere la gioia con chi gli sta accanto.

Poi ci sono piccole altre attenzioni che possiamo avere…

Non sovraccarichiamo i bambini di impegni e stimoli: non gli permetteremo di apprezzare l’impegno che mette nello sport se fa 3 sport diversi, avere mille bambole non gli permetterà di provare la gioia di giocare con la sua unica bambola preferita. Insomma la gioia si prova nelle pause, e come una bella sinfonia è tale anche grazie alle pause, così quello che facciamo non sarebbe gratificante, bello e gioioso senza il giusto tempo per goderne.

Non focalizziamoci sul risultato, un gol, un bel voto non sono la causa della gioia, o meglio non da soli, ma sono fonte di gioia l’apprezzamento dell’impegno che ci hanno messo.

Quando li vedete felici, non interrompete l’emozione per evitare che si sporchino o che sudino… provate a mettere sui piatti della bilancia un paio di pantaloni strappati con un ginocchio sbucciato e l’espressione di gioia nei loro occhi mentre correva nel parco: sicuri di scegliere il primo piatto???

Inoltre, stiamogli accanto anche durante i fallimenti: li aiuterà a saper godere dei successi, ad apprezzare di essere accolto senza se e senza ma e di essere amato senza condizioni da mamma e papà.

Alla fine… festeggiate, sappiate apprezzare i momenti di gioia insieme e ad esprimerli.

Un’ultima precisazione:

Se notate che non riesce a gioire dei suoi successi, se appena raggiunge un obiettivo è subito alla ricerca di una nuova sfida, se non accetta le gratificazioni e i complimenti, potrebbe essere in ansia, potrebbe nascondere altre emozioni. Se notate che c’è qualcosa che non va, approfondite, anche con l’aiuto di un professionista.

Il disgusto nei bambini

IL DISGUSTO

Quale genitore non è stato bersaglio di una minestra sputata durante lo svezzamento?

Bene, era in azione l’emozione del disgusto…

FACCIAMO UN PO’ DI CHIAREZZA…

Innanzitutto, perché consideriamo il disgusto un’emozione?

Perché è strettamente legata alla sopravvivenza della specie, perché è immediata, dura un secondo ed è direttamente collegata ad aree cerebrali che decidono le reazioni di attacco fuga, come l’amigdala. Inoltre è universalmente riconosciuta ed espressa, cioè se un bambino italiano esprime disgusto, un bambino delle Antille riconosce la medesima emozione, pur parlando lingue diverse e vivendo in luoghi opposti…

Uno studio inglese ha identificato le sei categorie comuni che lo provocano: scarsa igiene, animali o insetti portatori di malattie, lesioni o bolle con pus sulla pelle, cibo che sta andando a male o che ha un aspetto atipico. Sono tutte situazioni potenzialmente pericolose per la nostra sopravvivenza, quindi il disgusto è il modo in cui il nostro corpo ci mette in guardia e ci protegge dai rischi.

I bambini iniziano a mostrare l’espressione tipica del disgusto molto precocemente, è un importante passaggio nella loro vita: sono i primi segnali di una propria visione del mondo, sono le prime occasioni in cui discrimina gli stimoli che la madre gli presenta secondo un suo personale filtro.

Oltre agli stimoli elencati dagli scienziati inglesi, ci disgusta anche ciò che si discosta da quello a cui siamo abituati: assaggiare per la prima volta un passato di verdure dopo aver sentito solo il sapore del latte, sentire sotto il palato il cucchiaino, più rigido della tettarella e del seno materno, sentire una diversa temperatura… sono tutti elementi che fanno aumentare l’allerta, ci fanno serrare le mandibole, e arricciare il naso, per allargare le narici e aumentare il senso dell’olfatto per avere più informazioni possibili…

Il disgusto chiude lo stomaco e spesso genera un senso di nausea, in questo modo qualora avessimo ingerito qualcosa di pericoloso, avremmo la possibilità di espellerlo immediatamente!

Insomma la natura ha pensato proprio a tutto!

C’è persino un fondamento scientifico nell’odio dei bambini (e non solo) verso il colore verde: ai primordi della civiltà le parti verdi di molte piante erano velenose e a volte mortali….

Quindi che si fa?

Prima regola generale: Scopriamo ciò che disgusta noi! Si avete capito bene… è molto probabile che il nostro astio verso le zucchine passi inalterato a nostro figlio, perché? Semplice, per tutto ciò che ho scritto prima: all’inizio della nostra vita il primo sguardo che cerchiamo per capire se possiamo fidarci o no è quello dei genitori, perciò se ha percepito il nostro disgusto per le zucchine o gli insetti o chissà che altro, probabilmente non vorrà nemmeno assaggiarlo/guardarlo, perché potenzialmente pericolosissimo.

Poi abbiamo due scelte: provare ad assaggiare le zucchine e scoprire che non sono poi così male, prima di proporle al nostro bambino, oppure dichiarare apertamente che non ci piacciono, ma che preferireste che lui le assaggiasse prima di decidere se mangiarle o no… probabilmente non funzionerà, ma avrà tempo di rivalutare la cosa in futuro…

Seconda regola: ciò che non conosciamo, a volte, non ci piace. Perciò proviamo a cucinare insieme gli spinaci, o addirittura a coltivarli in balcone, cerchiamo in libreria un libro sui ragni e leggiamolo insieme, abituiamoli fina da piccolissimi alla più ampia varietà di sapori, dal pesce alla frutta: il gusto è un senso che si affina col tempo e con l’esperienza…

Un’ultima precisazione:

Alcuni bambini sentono il disgusto molto più forte di altri, hanno davvero mal di pancia e sentono di stare per vomitare: scoprite perché è così poco propenso ad assaggiare, se lo stomaco chiuso non ha a che fare con altre emozioni, come la tristezza, o se la nausea non è un segnale della sua rabbia.

Sta sentendo davvero quell’emozione, ma come tutte le altre emozioni, anche il disgusto non deve essere predominante sulle altre emozioni e impedirgli di vivere appieno la sua vita. Se notate che c’è qualcosa che non va, approfondite, anche con l’aiuto di un professionista.

La sorpresa nei bambini

la sorpresa nei bambini

LA SORPRESA

Non so se qualcuno di voi ricorda le “magiche sorprese” che si trovavano dal giornalaio negli anni ’80 e ’90, non so se ci sono ancora, in realtà… Erano giochini di scarso valore economico, spesso nemmeno bellissimi o indimenticabili, ma avevano una caratteristica: per quell’attimo in cui si scartava il pacchetto la nostra attenzione era tutta lì e la concentrazione era al massimo. Probabilmente se avessimo avuto il contenuto di quelle sorprese davanti ai nostri occhi, senza che l’incarto ne nascondesse l’aspetto, non l’avremmo degnato di uno sguardo!

Pensate anche… quali sono i film che ricordate meglio? O almeno quelli di cui ricordate il finale? Forse quelli con “finale a sorpresa”! La nostra memoria, infatti, è molto più propensa ad immagazzinare informazioni se sono informazioni inaspettate.

Una nota marca di uova di cioccolato ha incrementato molto i suoi guadagni inserendo una piccola sorpresa all’interno dei suoi famosi ovetti!

Forse non ci avete mai pensato, ma la sorpresa è un’emozione, ed anche una di quelle fondamentali.

È innata, è universale e universalmente riconosciuta… Già a 21 giorni di vita i bambini mostrano di provare sorpresa!

Potremmo addirittura dire che è l’incipit di tutte le emozioni, ma perché?

E soprattutto perché è così importante educare i bambini alla sorpresa?

FACCIAMO UN PO’ DI CHIAREZZA…

Provate ad osservare un po’ l’espressione del bimbo in foto, cosa notate?

Gli occhi sono spalancati, la bocca è aperta per inspirare tutta l’aria possibile, le sopracciglia si inarcano e si alzano, a cosa vi fa pensare tutto questo?

La sorpresa è l’emozione che dura meno, spesso solo un secondo, ma in quel secondo il nostro corpo si prepara all’azione e all’emozione successiva, piacevole o spiacevole che sia.

Un nuovo stimolo, qualcosa di inaspettato, provoca nella muscolatura umana e sul viso una tensione improvvisa: cerchiamo di osservare meglio e per questo allarghiamo lo sguardo, prendiamo aria per prepararci ad ogni tipo di azione. Ai primordi della vita umana una sorpresa poteva rivelare la presenza di una minaccia, e quindi la paura e la necessità di fuga, o di una preda, e quindi la gioia e la necessità di attaccare.

Insomma, anche la sorpresa è altamente adattiva e funzionale, come tutte le altre emozioni fondamentali.

La sorpresa ha il privilegio di oscurare tutti gli altri stimoli: un oggetto comparso all’improvviso catturerà la nostra attenzione tanto da non badare più alla strada che stiamo percorrendo…

Un episodio con effetto sorpresa si lega indelebilmente alla nostra memoria, diventando quel ricordo preponderante anche in presenza di altri momenti più importanti ma prevedibili…

La sorpresa ci introduce in altre emozioni positive o negative, che daranno vita ad altri ricordi…

Cosa ci dice tutto ciò?

Che la sorpresa è la nostra bacchetta magica in presenza di un bambino, è il nostro potere segreto, l’asso nella nostra manica!

Mi spiego meglio:

Il bambino sta mettendo in scena un capriccio da oscar, vuole un giocattolo al supermercato e non sembra importargli molto che noi siamo stanchi, abbiamo lavorato tutto il giorno e abbiamo fretta di tronare a casa e cucinare… che fare? Sorprendiamolo… si aspetterebbe che ci arrabbiamo, che lo sgridiamo, e invece tiriamo fuori dal cappello una magia, “un basilico magico, che abbiamo appena comprato, che, se torniamo in fretta a casa, ci servirà per fare una pozione per fare sogni meravigliosi!” Probabilmente il basilico assumerà all’improvviso una luce stupenda e potrebbe far passare in secondo piano quel nuovo omino di lego tanto agognato e per cui sta piangendo da 20 minuti…

Una lezione di matematica alla primaria sarà molto più attraente se riuscissimo ad inserire un elemento sorprendente, una musica introduttiva, un’attività a sorpresa appena finita la lezione…

Un bimbo di scuola materna potrebbe aumentare i tempi di attenzione nell’ascolto di una storia, se sapessimo introdurre uno stimolo nuovo e inaspettato, una voce strana e diversa dalla nostra, una marionetta comparsa all’improvviso, un suono…. Lo sapeva bene Rodari quando diceva: C’era una volta cappuccetto… verde… blu… giallo…

Spesso ci sono periodi in cui siamo presi dal lavoro più del solito: trovate il tempo di fare una sorpresa ai vostri bambini: un’uscita pre tempo da scuola ogni tanto non ha mai fatto male a nessuno, una gita non programmata in un luogo magico, un pranzo a base di patatine fritte… (sono e devono restare sorprese, perciò saranno sporadiche, quindi non inorridite leggendo!!!)

Un’ultima precisazione:

La sorpresa non sempre porta ad un’emozione positiva, potrebbe seguirne una delusione e quindi tristezza o rabbia!

Anche questo è molto importante per la sua crescita: il bambino potrebbe sentirsi eccessivamente vulnerabile se l’elemento sorpresa delude le sue aspettative, in questo caso sosteniamolo e stiamogli accanto. Spieghiamogli che le cose nuove possono piacerci o meno, ma che vanno esperite per scoprire cosa ci piace e cosa no, e fare piccoli passi in più nella costruzione della nostra personalità.

La paura dei bambini

LA PAURA

È da poco passato Halloween… che lo festeggiate o no, è un po’ un emblema di quanto l’uomo ha sentito da sempre il bisogno di esorcizzare, nascondere e camuffare l’ignoto e l’oscuro, ciò che non vediamo e non conosciamo.

Cosa fare quando il bambino ha paura? Perché ha paura? Di cosa ha paura?

PER PRIMA COSA UN PO’ DI CHIAREZZA…

La paura è adattiva, è utile… insomma ci serve!!

La paura è una delle emozioni più primitive, più istintive. Hanno paura gli animali, i bambini, gli adulti: tutti noi abbiamo paura.

La paura ci aiuta a riconoscere ed evitare una minaccia, e poi ci aiuta a segnalare agli altri che è presente un pericolo. Perciò è un’emozione immediata, funzionale, essenziale per tutti gli esseri animali e quindi umani.

Ma di cosa hanno paura i bambini?

Proviamo a pensare un attimo alle nostre paure…

Qualcuno avrà paura del buio, qualcun altro avrà paura dell’altezza, qualcuno degli sconosciuti, qualcuno dei ragni, qualcun altro dei cani… può essere un elenco lunghissimo e variopinto.

Ognuna di queste paure, a suo modo, è potenzialmente pericolosa, ma perché non tutti hanno paura degli stessi stimoli?

Innanzitutto chiariamo che se un bambino richiama la nostra attenzione con insistenza appena resta al buio, mentre un altro ci chiede di spegnere la luce perché è divertente giocare a nascondino, non vuol dire che uno ha paura del buio e l’altro no: è solo un diverso modo di rispondere alla paura!

Di fronte a qualcosa che ci spaventa possiamo fuggire a gambe levate ed evitare la situazione spaventosa; possiamo trovare eccitante il lieve brivido che ci scorre lungo la schiena e l’idea di essere talmente potenti da poter sconfiggere la paura; possiamo scegliere di affrontarla, magari con un valido aiutante, come nelle migliori favole…

Un altro aspetto da chiarire riguarda il fatto che alcuni stimoli che impauriscono non sono indiscutibilmente pericolosi per tutti. Mi spiego meglio: a fronte dei milioni di amanti dei cani, ci sono milioni di persone che li trovano spaventosi e non ne accarezzerebbero mai uno… Perché?

Perché molto spesso è la nostra cultura, educazione, storia e definire cosa per noi è spaventoso

Molto probabilmente un bimbo messicano non sarà così spaventato da teschi e rievocazioni di spiriti, come ci insegna il film Coco… Il figlio di una famiglia di circensi potrebbe non provare terrore di fronte ad una tigre…

Questo che vuol dire? Che dovremmo esporre il nostro bambino a ogni tipo di stimolo, anche il più spaventoso, in modo che da adulto non abbia paura di nulla? Che bisognerebbe non aver paura di nulla davanti agli occhi di nostro figlio per comunicargli che la paura non esiste?

No!

La paura è importante, inevitabile come tutte le altre emozioni primarie, e va ascoltata e accolta.

L’antidoto per la paura è solo la rassicurazione!

Perciò? Che fare?

4 COSE DA EVITARE:

1.Mai prenderlo in giro! Se avete letto altri miei post sulle emozioni avrete ormai capito che questa è una cosa da non fare mai, per nessun tipo di evento nella vita del bambino… In questo caso prenderlo in giro porterà con sé la convinzione che non si possono esprimere liberamente le proprie emozioni e si sentirà inadeguato e in colpa

2. Evitare anche di iperproteggerlo, o di rassicurarlo in maniera eccessiva e teatrale, gli trasmetterà che c’è effettivamente uno stimolo molto spaventoso e una paura molto difficile da superare.

3. Evitiamo di esporre il bambino ad ogni tipo di discorso o immagine che trasmetta paura. Specialmente in questo periodo in cui tutto in tv parla di paura e di spaventosi virus, è importante non esporre il bambino a tv e discorsi: il rischio è che sentirà le paure altrui più forti delle proprie paure.

4. Non puntare sulla sua forza d’animo. Le paure vanno affrontate con pazienza e con il giusto tempo. Presentare al bambino lo stimolo pauroso troppo presto e in modo troppo diretto può trasformare la paura in terrore e ansia: supererà i suoi limiti quando vorrà e si sentirà pronto.

6 COSE CHE POSSIAMO FARE:

  1. Parola d’ordine: Rassicurazione! Facciamo capire al bambino che noi ci siamo, che qualsiasi cosa possa accadere noi gli saremo accanto, lo sosterremo e lo aiuteremo a superarla. In questo modo qualsiasi sia l’oggetto della paura non sarà così terribile!
  2. Permettiamo al bambino di esprimere le proprie paure, qualsiasi esse siano, semplicemente ascoltiamolo, stiamogli accanto.
  3. È importante che il bambino impari che la paura può essere superata, non che la paura non esiste! Trasmettiamogli che anche noi possiamo provare paura, ma che riusciamo a superarla e a parlarne prima che diventi terrore e ansia e fobia!
  4. Offriamogli la nostra presenza, la nostra vicinanza: non c’è mostro che non possa essere sconfitto grazie ad un aiutante efficace!
  5. Troviamo nei suoi libri o storie preferite degli eroi, a cui fare riferimento quando la nostra presenza fisica non è possibile, che lo accompagnino quando è solo, o in compagnia degli amici e che pian piano possano diventar parte di lui del suo mondo interiore.
  6. Se la paura è stimolata da un oggetto o un animale o una situazione fisica particolare possiamo avvicinarla pian piano insieme a lui, lentamente e in tappe successive.

DISTINGUIAMO LE PAURE

Le paure cambiano e si modificano nelle diverse età: se verso l’anno compare la paura dell’estraneo, e prima ancora la paura dell’allontanamento fisico della mamma, a 5 o sei anni può comparire la paura della scuola o del temporale… all’inizio ci sono paure più innate e primordiali, man mano che si cresce le paure diventano più cognitive e meno immediate.

Sono paure comprensibili e naturali: a sei mesi davvero un bambino senza la sua mamma non sopravvivrebbe, è il modo in cui la natura ci aiuta a prenderci cura del bambino quando ancora non sa esprimersi al meglio.

Quando inizia la scuola la paura è quella di un ambiente nuovo, o di una prova difficile da superare.

Le altre paure possono derivare da un trauma, un’associazione tra una determinata situazione e qualcosa di spaventoso.

Molto spesso la paura è legata a qualcosa che non si conosce o è di difficile lettura: è il caso della paura degli animali, il cui comportamento è di difficile interpretazione. Anche la paura del buio può appartenere a questa categoria, non si sa cosa ci sia nel buio, e perciò incute timore, ma può essere anche legata alla paura dell’abbandono e della solitudine.

Perciò è importante comprendere cosa c’è dietro la paura, per essere più efficaci e per aiutare al meglio il bambino. È importante sintonizzarci sulla giusta età del bambino, non trattarlo troppo “da grande” e nemmeno troppo “da piccolo”. Ogni età ha le sue parole, i suoi eroi e le sue modalità di affrontare le situazioni: facciamoci guidare dal bambino, facciamogli domande e ascoltiamo le risposte con empatia ed attenzione… ci indicherà la strada giusta!

UN’IMPORTANTE DISTINZIONE!

La paura è connotata da uno stimolo reale e possibile.

Quando la paura è marcata e persistente, eccessiva o non reale, provocata dalla presenza o dall’attesa di un oggetto o situazioni specifiche (per esempio: fobia di volare, di vedere il sangue, di ricevere un’iniezione, dell’altezza, di determinati animali) probabilmente è diventata una fobia.

Un’ulteriore prova è data dal fatto che l’esposizione all’elemento fobico provoca una risposta ansiosa immediata che può sfociare anche in attacchi di panico.

I bambini manifestano le loro ansie con scoppi di rabbia improvvisi, oppure irrigidendosi e piangendo e attaccandosi morbosamente alla presenza di qualcuno. Spesso la situazione fobica viene evitata, limitando anche la vita quotidiana…

Se notate questo tipo di paure, o anche se avete dei dubbi in merito cercate un professionista con cui parlarne: è meglio agire tempestivamente, evitando che la fobia diventi cronica e invalidante.

La tristezza dei bambini

LA TRISTEZZA

Molto probabilmente adesso, un secondo dopo aver visto la foto del post, avrete gli angoli della bocca all’ingiù e una tipica espressione triste.

È quasi un riflesso incondizionato, è il modo con cui la natura ci guida già sulla strada giusta: il rispecchiamento di fronte ad un bambino triste è la cosa più sana e utile che possiamo fare.

Poi? Che si fa? Perché è triste?

PER PRIMA COSA UN PO’ DI CHIAREZZA…

I bambini provano tristezza!

Può essere difficile accettarlo e comprenderlo: siamo abituati a pensare all’infanzia come quel periodo spensierato e felice in cui è difficile collocare la tristezza. Ma è una falsa credenza, i bambini provano la tristezza, la manifestano e attraverso essa crescono, evolvono e cambiano.

La tristezza è il sentimento legato alla perdita, perdita di qualcosa o qualcuno di caro, amato, importante per noi.

Ciò che induce la tristezza può essere molto diverso tra bambini e adulti, da adulti non siamo più tristi per la perdita di un orsacchiotto di peluche, e i bambini probabilmente non sentono la tristezza per un’occasione mancata, ma il sentimento provato è esattamente lo stesso: un senso di vuoto, di mancanza, di sfiducia, a volte anche di solitudine e impotenza.

La tristezza ha una funzione fondamentale nella nostra vita: permette di riflettere su di noi, sui nostri sentimenti e attraverso l’accettazione e l’accoglienza ci aiuta a rielaborare, comprendere e infine a cambiare e a crescere. E infine ci permetterà di sentire la gioia…

Esattamente come negli adulti, la tristezza non sempre si manifesta con una particolare espressione del viso e con il pianto…

A volte potreste notare che il bambino dorme più del solito o al contrario non riesce ad addormentarsi; oppure che mangia meno o più del solito; potrebbero diventare iperattivi, a volte, anche aggressivi, oppure diventare apatici, isolati dagli altri; potrebbero essere più o meno loquaci del solito.

In ogni caso il vostro bambino esprimerà la sua tristezza a chi saprà accorgersi dei suoi piccoli o grandi cambiamenti. (http://www.alessandra-simone.it/2020/10/05/le-emozioni-nei-bambini/)

5 COSE DA EVITARE:

  1. Mai prenderlo in giro! Frasi come “sei una lagna!” “sei un piagnucolone” o peggio “i maschietti non piangono” o “fai la bimba grande, non piangere!” potrebbero essere dette senza pensarci troppo, d’istinto, perché in quel momento l’unica cosa che vorremmo è che il bimbo smetta di essere triste. In realtà sono frasi che inibiscono la sua espressione emotiva: la tristezza non farà altro che trovare altri modi per emergere, più profondi, più pericolosi e più difficili da gestire.
  2. .Non insistere troppo nel chiedergli la causa della sua tristezza: ci racconterà tutto se e quando si sentirà di farlo, quando sentirà il nostro sostegno, la nostra empatia per i suoi sentimenti e la nostra accoglienza. E, se non dovesse farlo, non importa, saremo molto più efficaci standogli accanto senza troppe parole!
  3. Sminuire i suoi sentimenti con frasi del tipo “è una stupidaggine”, “sono cose che capitano” “non si piange per una cosa del genere”. Per il bambino è importante! Queste parole non lo aiutano a comprendere, a riflettere o a crescere, anzi sminuiscono la sua autostima.
  4. Mai sgridarlo! Nasconderà solo la sua tristezza con la rabbia, rendendo inutile l’importantissima funzione di questo sacro sentimento.
  5. Non insistere solo sulla sua forza d’animo. “Sei forte, basta essere triste!” Farà crescere solo dei giganti dai piedi d’argilla, dei futuri adulti sostenuti solo da una finta corazza di argilla non sostenuta da una forza interiore reale acquisita pian piano con l’aiuto amorevole dei propri genitori.

5 COSE CHE POSSIAMO FARE:

  1. Osservare, notare piccoli cambiamenti, stargli accanto con delicatezza e tatto. Parola d’ordine: empatia!
  2. Spiegare al bambino che tutti possono provare tristezza, i nonni, gli zii, i genitori, gli amici e persino le maestre. E che ci potremo sentire meglio se abbiamo qualcuno accanto, se abbiamo la possibilità di parlarne e se accettiamo di poter essere tristi. Permettiamogli di essere tristi!
  3. Abbracciamolo. Offriamogli di piangere sulla nostra spalla, stiamogli semplicemente accanto anche senza parlare, per il tempo di cui il bambino ha bisogno.
  4. Possiamo avvalerci dell’aiuto di libri, storie, immagini, per imparare insieme a lui a distinguere le emozioni, a capirle e ad esprimerle al meglio.
  5. Specie con i bambini più piccoli (ma vale con tutti i bambini), leggere i loro comportamenti, non direttamente associabili alla tristezza, chiedendo loro cosa sentono. Potrebbe accadere che dovremo guidarli nelle risposte, ma mai rispondere al loro posto. Ad esempio “Cosa senti nella pancia?” “senti più una cosa bella o brutta?” “ti sei sentito così altre volte?” Aspettate le loro risposte, permettetegli di riflettere, di esprimersi come meglio credono… Ascoltateli.

LA TRISTEZZA NON SI PUO’ PREVENIRE…

Se nel caso della rabbia possiamo prevenire la sua espressione più feroce, (http://www.alessandra-simone.it/2020/10/12/le-emozioni-nei-bambini-la-rabbia/ ) per quanto riguarda la tristezza non solo non c’è nulla che possiamo fare per prevenire e proteggere il nostro bambino dal provare questo sentimento, per evitargli un dolore o per fare in modo che sia sempre felice.

Non solo non c’è un modo, ma se ci fosse sarebbe solo dannoso per lui: la tristezza è utile, è necessaria, è importante per la sua crescita e, soprattutto, è inevitabile!

Impariamo solo a tenergli la mano quando è triste!

ULTIMO PROMEMORIA!

Se vi accorgete che la tristezza dura per molti giorni, senza soluzione di continuità, anche molto tempo dopo l’evento che ha causato l’inizio del cambiamento d’umore;

se notiamo che il troppo o il poco sonno o l’eccessiva fame o l’inappetenza prolungata incide sulla sua vita relazionale o scolastica;

quando la tristezza non è più consolabile o come genitori sentiamo di aver bisogno di aiuto per gestire questa emozione…

Cercate un professionista con cui parlarne: è meglio agire tempestivamente, evitando che il bambino “normalizzi” un comportamento senza più collegarlo ad un reale evento di perdita o sconforto.

La rabbia dei bambini

come gestire la rabbia dei bambini

Ho deciso di iniziare il nostro percorso (http://www.alessandra-simone.it/2020/10/05/le-emozioni-nei-bambini/) per comprendere, accogliere e valorizzare le emozioni dei bambini parlando della RABBIA.

È sicuramente il sentimento che spiazza di più i genitori, è quel sentimento che più genera frustrazione, nervosismo e evitamento nella famiglia, perciò è il più difficile da comprendere…

PER PRIMA COSA UN PO’ DI CHIAREZZA…

La rabbia può manifestarsi in vari modi: può essere che inizi a dire parolacce in famiglia o in pubblico, o che attui altri comportamenti proibiti, meno eclatanti della vera crisi di rabbia, ma continuative e irritanti; può portare rancore per molto tempo e in modo silenzioso o può trovare un capro espiatorio, un fratellino o un compagno di scuola, a cui fare ripetuti dispetti.

In questi casi si parla di collera inibita o non manifesta, è importante parlarne, far capire al bambino che sappiamo leggere i suoi sentimenti e che possiamo accoglierli e aiutarlo a superarli insieme. Possiamo usare varie strategie, a seconda dell’età, come ignorare il comportamento provocatorio, sdrammatizzare il peso che il comportamento ha su di noi, fargli comprendere che ci sono altri modi per esprimere la rabbia senza ferire gli altri.

Cosa ben diversa è l’episodio di rabbia acuta, che comporta un vero e proprio cambiamenti fisico nel bambino: aumento della pressione sanguigna, della frequenza cardiaca, diminuiscono gli ormoni del piacere e il bambino è più irrequieto e nei movimenti o sembra paralizzato imprigionato dalla tensione dei muscoli del suo corpo.

In questo stato il bambino è tanto arrabbiato quanto spaventato: sente una grande potenza dentro di se, ma una potenza che può rivelarsi distruttiva e che non sa come gestire.

Il bambino non può ascoltare in questo momento! Si può pensare che non voglia ascoltare quello che gli adulti gli dicono, potrebbe sembrare che sia maleducato, viziato, e che abbia bisogno di regole ferree… No! In quel momento proprio non può: tutto il suo corpo è impegnato a gestire lo stato di rabbia, non può recepire nuovi stimoli adesso.

6 COSE DA NON FARE:

  • Non urlare per placare le sue urla! Si creerebbe solo un vortice di rabbia da cui sarà difficile uscire per tutti…
  • Cercare di farlo ragionare…
  • Ritrattare la regola che ha generato la crisi di rabbia. La prossima crisi di rabbia sarà peggiore…
  • Non promettiamo punizioni che non daremo. Penseremo dopo se e che tipo di punizione possiamo attuare, dipenderà dall’età, dall’evento scatenante e dalla reazione che ha avuto.
  • Mai prenderlo in giro! Aumenta la sua rabbia, abbassa la sua autostima e genera sentimenti di vergogna.
  • Punirlo fisicamente (e non parlo di percosse, che penso siano da NON AGIRE MAI), per esempio farlo sedere nel momento del picco rabbioso o, peggio, mandarlo a letto. In quel momento è essenziale per lui scaricare l’energia fisica con il movimento, l’importante è proteggerlo da agiti violenti e pericolosi per lui e per gli altri.

5 COSE CHE POSSIAMO FARE:

  • Trovare la nostra calma… può sembrare scontato, può sembrare inutile, ma è fondamentale: contiamo fino a 10, se necessario, un bel respiro profondo e poi ci avviciniamo al bambino con calma e fermezza.
  • Parliamogli con un tono di voce basso e pacato, non è importante quello che gli diciamo, non spieghiamogli nulla adesso, possiamo mostrargli che abbiamo compreso quanto sia arrabbiato, che la rabbia è un’emozione permessa, e che gli vogliamo bene anche in quel momento e gli siamo vicini.
  • Abbracciamolo, prendiamogli le mani, guardiamolo negli occhi. Deve sentire di non essere pericoloso, di essere sostenuto anche in quel momento, di essere contenuto (NON COSTRETTO).
  • Permettiamogli di muoversi: una corsa nel corridoio, strapazzare un cuscino, urlare in un barattolo… sono tutti agiti non pericolosi, che gli faranno scaricare la tensione fisica, aumenteranno gli ormoni positivi e gli faranno prendere coscienza della potenza della sua energia, in modo che impari a calibrarla sempre meglio.
  • SOLO DOPO aver superato il picco dell’emozione, quando ci appare più in ascolto e meno teso, possiamo parlargli. Possiamo spiegargli che sappiamo che quanto è successo (il no che gli abbiamo detto, la rottura di un suo giocattolo preferito, la necessità di mettere un giubbotto piuttosto che un altro, ed ogni altro tipo di innesco possibile) può averlo fatto molto arrabbiare, ma che ci sono delle regole e delle necessità che i genitori devono insegnare. Può arrabbiarsi, e noi gli vorremo bene anche quando è super arrabbiato, ma le regole non cambiano. Si può anche riconoscere che c’è stata un’eventuale ingiustizia, ma che voi gli siete vicino e cercherete di capire con lui come rimediare.

PREVENIRE E’ MEGLIO CHE CURARE

La rabbia è un’emozione primaria che si manifesta dai primi mesi di vita del bambino, con modalità che vanno dal pianto disperato dei neonati, ai comportamenti oppositivi dei 2 anni, alle manifestazioni eclatanti dei 4 anni alle risposte seccate e aggressive dei 6 anni, e così via…

Va da se, quindi, che non è possibile prevenire l’emozione in sé, ma è possibile limitare nella frequenza e nell’intensità le sue manifestazioni.

Come?

Anticipare al bambino quello che faremo e secondo quali tempistiche e modalità;

Dargli delle alternative ai “no” che gli diciamo;

Organizzare tempi e spazi in modo da rispettare le promesse che gli facciamo;

Non agire in emergenza! (La mattina prima di andare a scuola è già un momento di fermento familiare: prepariamo cartella e vestiti la sera prima!).

Qualche esempio:

 “oggi andremo al supermercato, non compreremo un giocattolo, ma se vuoi dopo passiamo dal parco…”

“Domani potrebbe essere necessario mettere il giubbotto, so che non ti piace metterlo, ma ti permetterà di giocare in giardino con gli altri amici a scuola”

“non possiamo andare adesso al parco, ma sabato potremmo organizzare una gita tutti insieme!”

“Abbiamo da fare delle faccende un po’ noiose, potresti portare un libro con te, da leggere mentre aspetti”

ULTIMO PROMEMORIA!

Se vi accorgete che le crisi di rabbia sono incontrollabili, mettono il bambino o gli altri in pericolo, sono frequenti e difficili da placare, cercate un professionista con cui parlarne: è meglio agire tempestivamente, evitando che il bambino si percepisca pericoloso, che venga etichettato come “aggressivo” a scuola, che venga isolato dai pari… tutto ciò potrebbe innescare un circolo vizioso di ulteriori e più potenti espressioni di rabbia del piccolo e di tutta la famiglia, ed un percorso più lungo e articolato di cura.

compiti a casa istruzioni per l’uso

Tra le tematiche che più mi capita di incontrare, quando incontro le coppie genitoriali dei piccoli pazienti, di sicuro la più controversa riguarda i compiti a casa.

C’è chi aiuta i bambini sedendosi accanto e svolgendo i compiti insieme a loro parola per parola, numero per numero, con tanto di interrogazione e verifica serale.

C’è chi ha deciso che devono cavarsela da soli, senza se e senza ma, perché solo così impareranno.

C’è chi decide che le insegnanti diano pochi compiti o troppi compiti, perciò usano il libero arbitrio anche nell’educazione scolastica del proprio figlio.

Tutti questi casi hanno un denominatore comune: fare i compiti a casa è uno strazio tanto per i figli quanto per i genitori.

ORA… DUE PICCOLE PRECISAZIONI:

La prima: Nessuno, ma proprio nessuno, ha mai detto che i compiti a casa devono essere divertenti, o facili, o piacevoli. Così come noi adulti non sempre troviamo piacevole o divertente o facile il nostro lavoro, i ragazzi possono trovare noiose delle materie, difficili altre materie o più gratificanti altre attività…

È SANO, FISIOLOGICO E GIUSTO…

I compiti insegnano anche questo: c’è bisogno di Impegno, Costanza, Fiducia per ottenere dei risultati, per crescere e per sentirsi appagati e gratificati. Non mentiamo ai nostri figli, chiedendogli di fare i compiti con gioia, o dicendo che la nuova ricerca di storia è avvincente e stupenda, ci arriverà da grande, proprio come avete fatto voi…

La seconda: Occorre “La giusta distanza”. Mai come in questa frase assume più senso. Occorre permettere al bambino di sentirsi capace di “fare da solo” , superando anche delle difficoltà; ma è anche necessario che il genitore sia presente, magari nella stanza accanto, magari ritagliandosi uno spazio dopo cena… una presenza discreta, ma che rappresenta per il bambino una base sicura, a cui poter chiedere come affrontare un compito, non come farlo… Il genitore potrà aiutarlo a recuperare del materiale, o a comprendere cosa non ha capito per permettergli di porre le giuste domande, potrà incoraggiarlo, permettergli una pausa rigenerante, concordare orari e gratificazioni. Vostro figlio si sentirà sostenuto, accompagnato, ma scoprirà di saper fare, di riuscire… la sua soddisfazione saprà ripagarvi di tutte le volte che l’avrete sentito sbuffare.

ALCUNE PICCOLE ISTRUZIONI PER L’USO:

  1. Create insieme al bambino/ragazzo uno spazio che sia bello, luminoso, confortevole per poter svolgere i compiti in tranquillità. Non occorre che sia nella sua stanza, ma deve essere uno spazio solo suo, e deve essere curato e funzionale. Alla fine dei compiti va messo a posto il materiale e riordinato i libri e i quaderni.
  2. Siate presenze discrete e di sostegno: una buona merenda per spezzare un tempo lungo sui libri portata da mamma, papà o nonna o tata può essere un buon carburante per continuare con più motivazione.
  3. Rassicuratelo, si può non saper svolgere un compito, è importante comprendere perché e come poter rimediare. La prossima volta andrà meglio.
  4. I contenuti multimediali, internet e i social erano una novità per noi della generazione passata, perciò ci piaceva cercare contenuti e approfondimenti su internet. Per loro è la norma! Provate a portarlo in biblioteca già da quando è piccolo, fategli scoprire musei, strade sconosciute della vostra città… la ricerca sul campo è una novità per questa generazione e perciò è molto più accattivante!
  5. Gratificatelo, lodatelo per i successi….
  6. Ultima, ma forse la più importante, lodate e gratificate il suo impegno anche quando ha un insuccesso.

L’AMORE DEI GENITORI NON E’ NEGOZIABILE:

IL BAMBINO DEVE ESSERE SICURO DI ESSERE AMATO SENZA SE E SENZA MA… anche se ha preso un brutto voto!