Un libro per giocare in tempi covid

GIOCHI DI GRUPPO (ANCHE) A 1 METRO DI DISTANZA

  di Pierdomenico Baccalario, Marco Cattaneo, Federico Taddia

edito da Mondadori

Ci stiamo chiedendo tutti che generazione stiamo crescendo:

una generazione di adulti evitanti che non tollereranno il contatto?

Una generazione di asociali diffidenti verso il prossimo?

Una generazione di dipendenti digitali, che sapranno fare la spesa, studiare, lavorare online, ma non sapranno più nemmeno allacciarsi le scarpe?

La risposta sarebbe sì… se non facciamo nulla per scongiurare tutto questo!

Questo è un libro pensato per i piccoli, ma rivolto ai grandi.

Si, perché la responsabilità educativa è tornata nelle mani degli adulti!

Dopo anni di deresponsabilizzazione, in cui l’educazione (e le colpe della cattiva educazione) veniva demandata dalla scuola, alla tv, dai social, alle famiglie, e viceversa, siamo costretti davvero ad occuparcene tutti oggi.

La didattica a distanza, per i più grandi, riporta i genitori ad occuparsi dell’organizzazione scolastica, degli orari delle lezioni, delle interrogazioni, degli spazi in cui si fa lezione.

I genitori dei più piccoli dovranno riempire i pomeriggi dei loro figli senza più avere nuoto, danza, karate, spesso senza avere i nonni; spesso saranno a casa a causa di quarantene e chiusure scolastiche a singhiozzo…

Le maestre e le educatrici si sono trovate nel ruolo di “controllori della distanza”: i bambini non possono avvicinarsi, né toccarsi; se frequentano la primaria, hanno anche una mascherina che copre il loro sorriso e nasconde le loro parole…

Il clima è piuttosto triste e difficile da sostenere anche per noi, ma probabilmente i bambini ci mostreranno come adattarci e questo è il libro che ci darà gli strumenti giusti… Permetterà di riscoprire il movimento, i giochi di sguardi, il rispetto delle regole del gioco.

Perché si può continuare a giocare cambiando regole, spazi e dinamiche! Si può trovare un nuovo modo di stare insieme… anche se a distanza! Resterete sorpresi da quanto si divertiranno comunque, e noi con loro… perché non è la distanza fisica quella da temere!

La sorpresa nei bambini

la sorpresa nei bambini

LA SORPRESA

Non so se qualcuno di voi ricorda le “magiche sorprese” che si trovavano dal giornalaio negli anni ’80 e ’90, non so se ci sono ancora, in realtà… Erano giochini di scarso valore economico, spesso nemmeno bellissimi o indimenticabili, ma avevano una caratteristica: per quell’attimo in cui si scartava il pacchetto la nostra attenzione era tutta lì e la concentrazione era al massimo. Probabilmente se avessimo avuto il contenuto di quelle sorprese davanti ai nostri occhi, senza che l’incarto ne nascondesse l’aspetto, non l’avremmo degnato di uno sguardo!

Pensate anche… quali sono i film che ricordate meglio? O almeno quelli di cui ricordate il finale? Forse quelli con “finale a sorpresa”! La nostra memoria, infatti, è molto più propensa ad immagazzinare informazioni se sono informazioni inaspettate.

Una nota marca di uova di cioccolato ha incrementato molto i suoi guadagni inserendo una piccola sorpresa all’interno dei suoi famosi ovetti!

Forse non ci avete mai pensato, ma la sorpresa è un’emozione, ed anche una di quelle fondamentali.

È innata, è universale e universalmente riconosciuta… Già a 21 giorni di vita i bambini mostrano di provare sorpresa!

Potremmo addirittura dire che è l’incipit di tutte le emozioni, ma perché?

E soprattutto perché è così importante educare i bambini alla sorpresa?

FACCIAMO UN PO’ DI CHIAREZZA…

Provate ad osservare un po’ l’espressione del bimbo in foto, cosa notate?

Gli occhi sono spalancati, la bocca è aperta per inspirare tutta l’aria possibile, le sopracciglia si inarcano e si alzano, a cosa vi fa pensare tutto questo?

La sorpresa è l’emozione che dura meno, spesso solo un secondo, ma in quel secondo il nostro corpo si prepara all’azione e all’emozione successiva, piacevole o spiacevole che sia.

Un nuovo stimolo, qualcosa di inaspettato, provoca nella muscolatura umana e sul viso una tensione improvvisa: cerchiamo di osservare meglio e per questo allarghiamo lo sguardo, prendiamo aria per prepararci ad ogni tipo di azione. Ai primordi della vita umana una sorpresa poteva rivelare la presenza di una minaccia, e quindi la paura e la necessità di fuga, o di una preda, e quindi la gioia e la necessità di attaccare.

Insomma, anche la sorpresa è altamente adattiva e funzionale, come tutte le altre emozioni fondamentali.

La sorpresa ha il privilegio di oscurare tutti gli altri stimoli: un oggetto comparso all’improvviso catturerà la nostra attenzione tanto da non badare più alla strada che stiamo percorrendo…

Un episodio con effetto sorpresa si lega indelebilmente alla nostra memoria, diventando quel ricordo preponderante anche in presenza di altri momenti più importanti ma prevedibili…

La sorpresa ci introduce in altre emozioni positive o negative, che daranno vita ad altri ricordi…

Cosa ci dice tutto ciò?

Che la sorpresa è la nostra bacchetta magica in presenza di un bambino, è il nostro potere segreto, l’asso nella nostra manica!

Mi spiego meglio:

Il bambino sta mettendo in scena un capriccio da oscar, vuole un giocattolo al supermercato e non sembra importargli molto che noi siamo stanchi, abbiamo lavorato tutto il giorno e abbiamo fretta di tronare a casa e cucinare… che fare? Sorprendiamolo… si aspetterebbe che ci arrabbiamo, che lo sgridiamo, e invece tiriamo fuori dal cappello una magia, “un basilico magico, che abbiamo appena comprato, che, se torniamo in fretta a casa, ci servirà per fare una pozione per fare sogni meravigliosi!” Probabilmente il basilico assumerà all’improvviso una luce stupenda e potrebbe far passare in secondo piano quel nuovo omino di lego tanto agognato e per cui sta piangendo da 20 minuti…

Una lezione di matematica alla primaria sarà molto più attraente se riuscissimo ad inserire un elemento sorprendente, una musica introduttiva, un’attività a sorpresa appena finita la lezione…

Un bimbo di scuola materna potrebbe aumentare i tempi di attenzione nell’ascolto di una storia, se sapessimo introdurre uno stimolo nuovo e inaspettato, una voce strana e diversa dalla nostra, una marionetta comparsa all’improvviso, un suono…. Lo sapeva bene Rodari quando diceva: C’era una volta cappuccetto… verde… blu… giallo…

Spesso ci sono periodi in cui siamo presi dal lavoro più del solito: trovate il tempo di fare una sorpresa ai vostri bambini: un’uscita pre tempo da scuola ogni tanto non ha mai fatto male a nessuno, una gita non programmata in un luogo magico, un pranzo a base di patatine fritte… (sono e devono restare sorprese, perciò saranno sporadiche, quindi non inorridite leggendo!!!)

Un’ultima precisazione:

La sorpresa non sempre porta ad un’emozione positiva, potrebbe seguirne una delusione e quindi tristezza o rabbia!

Anche questo è molto importante per la sua crescita: il bambino potrebbe sentirsi eccessivamente vulnerabile se l’elemento sorpresa delude le sue aspettative, in questo caso sosteniamolo e stiamogli accanto. Spieghiamogli che le cose nuove possono piacerci o meno, ma che vanno esperite per scoprire cosa ci piace e cosa no, e fare piccoli passi in più nella costruzione della nostra personalità.

La follia in adolescenza

“SIATE AFFAMATI, SIATE FOLLI”

“Ma dove ha la testa?”

“Non ha un minimo di razionalità quando fa le cose?”

“Ma non pensa al suo futuro?”

Domande come queste sono all’ordine del giorno per ogni genitore di adolescenti…

Sembrano pure domande genitoriali, come quelle che i nostri genitori probabilmente si facevano su di noi.

In realtà, come spesso accade, i genitori usano le parole più adatte per descrivere quello che stanno vivendo, quello che provano i protagonisti del racconto.

COSA E’ IMPORTANTE CHIARIRE…

Le neuroscienze ci dicono che…

In genere non mi piace essere troppo scientifica e parlare in medichese, ma questa volta un paio di precisazioni serve.

Gli studi sul cervello possono spiegare in parte il mondo psichico degli adolescenti:

In adolescenza aumentano e migliorano i collegamenti neurali, migliorando l’efficienza e la velocità cognitiva, questo spiega l’estro, la creatività e la maggiore capacità intuitiva che spesso notiamo nei nostri ragazzi.

Ma questo spesso ci porta a pensare: ma è così intelligente, perché si comporta così impulsivamente??

Ecco che entra in scena un’altra area cerebrale: il lobo frontale.

Il giudizio, il tenere a bada gli impulsi, la capacità di pianificazione degli eventi, l’avere la pazienza, comprendere le intenzioni degli altri e il loro punto di vista sono gestite dai lobi frontali, anzi dalle connessioni che essi costruiscono con il resto del cervello.

Ecco, le aree cerebrali frontali sono le ultime a formarsi e a completare la loro maturazione.

Durante tutta l’adolescenza il lobo frontale continua il proprio processo di maturazione, incrementando progressivamente le connessioni con le altre aree cerebrali e questo processo continua fino ai trent’anni.

C’è quindi una spiegazione scientifica molto solida alla scarsa dimostrazione di comportamenti razionali in questa fascia d’età.

La psicologia ci dice che…

In adolescenza si sviluppa il nostro sistema identitario, decidiamo chi siamo e chi vogliamo diventare, si sviluppa l’identità sessuale e si definisce il mondo relazionale e sociale.

A tutto questo corrisponde un corpo in costante e repentino cambiamento, un corpo che non riconosciamo più come nostro e un mondo esterno in evoluzione, c’è più libertà, si ricerca meno la presenza di mamma e papà, si vive di più l’esterno della famiglia.

Come si fa a cercare di definirsi mentre tutto cambia?

Ci si spinge sempre più ai confini, si cerca sempre più di esplorare, di trovare il nostro limite estremo. Si cercano anche ideali assoluti e rigidi che ci sostengano e ci facciano sentire più al sicuro.

Come si traduce tutto questo nella realtà?

Davanti a noi abbiamo un ragazzo che spesso si trova in situazioni potenzialmente rischiose, che difficilmente soppesa i pro e i contro prima di agire, che non sempre riesce ad assumere il punto di vista altrui, ma che è anche molto intuitivo, che ama lottare per i propri ideali e che ha slanci di creatività elevatissimi: insomma un adolescente!

“SIATE AFFAMANTI, SIATE FOLLI”

Quando Steve Jobs ha pronunciato la parte finale del suo celebre discorso alla Stanford University di Palo Alto stava parlando al “nuovo” che avanzava, come lui stesso racconta in un’altra parte del discorso, ai giovani laureandi che l’adolescenza l’avevano appena attraversata. https://www.ilfoglio.it/articoli/2011/10/06/news/siate-affamati-siate-folli-il-discorso-di-jobs-alla-stanford-university-63259/

Anche questa volta si è dimostrato il genio visionario che conosciamo tutti noi.

È questo che dobbiamo trasmettere ai ragazzi che attraversano la fase più difficile e decisiva della loro vita.

Perché? Vi chiederete… mio figlio è già abbastanza affamato e folle senza che glielo dica io!!!

Perché da tutto quello che ho scritto in questo articolo si evince che gli adolescenti sono per natura affamati di vita e folli. Possiamo scegliere solo se essere accanto a loro o no…

Nella loro fame di vita decideranno le loro passioni, probabilmente la loro vita futura, a volte i loro compagni di vita e il luogo in cui vivere. Quante volte vostro figlio o un vostro alunno adolescente vi ha detto da grande vorrei essere un cantante, un attore, un medico o chissà che altro…

Cosa gli avete risposto?

Non saziate la loro fame, non togliete loro la voglia di cibarsi a morsi della vita: è il tempo dei tentativi, delle sperimentazioni, delle delusioni e delle sconfitte, ma anche delle vittorie e delle passioni più accese…

Permettete loro di scegliere di cosa cibarsi, aiutateli a comprendere come scegliere, non aiutateli a scegliere.

Non spegnete la loro follia… è la follia che li spingerà verso i loro sogni, che farà sorgere in loro i desideri, che accenderà quella luce che vedete negli occhi degli adolescenti pieni di vita.

Non siate spaventati, a questo punto avrete dato loro tutti gli attrezzi per poter sopravvivere, ma il vostro compito non è terminato: aiutateli a comprendere che ha tutte le carte in regola per scegliere, che è la sua follia che deve seguire, non quella del gruppo. Comunicate loro con forza che vi fidate di lui, del suo giudizio, che sapete che farà di tutto per evitare i rischi evitabili. Chiedete loro se si sono divertiti quando torna a casa, se sono innamorati, se hanno dei sogni… aiutateli a realizzare i loro sogni…

Sono molto grata ai miei pazienti adolescenti perché mi regalano sempre un po’ della loro vitalità stupenda e inebriante, mi insegnano come si fa a cambiare pelle quando quella vecchia va un po’ stretta, mi fanno sentire la forza di chi crede che ci sia un bianco e un nero, una parte giusta e una parte sbagliata.

Il mio compito è mostrare loro i chiaroscuri, permettergli di mostrarsi ancora un po’ bambini, qualora ne avessero bisogno, che possono riposarsi e dire no, che possono salutare la loro vecchia pelle e ringraziarla per averli protetti fino a quel punto e sostenerli mentre ne costruiscono una nuova… poi faccio il tifo per loro!

Siate curiosi dei vostri figli, della loro vita: vi regaleranno un po’ di quella fame e di quella follia che forse un po’ avete perso per strada…

La buca: adulti non abbiate paura!

LA BUCA

  di Emma AdBage edito da Camelozampa

Nel giardino della scuola c’è una buca. Lì si può giocare a tutto… nella buca ci entra tutta la fantasia dei bambini della scuola, tutta la loro creatività e tutta la loro vitalità.

La buca però fa un po’ paura agli adulti: ci si può far male nella buca, si può scivolare e cadere…

 Non fanno una bella figura gli adulti in questo libro… mentre lo leggiamo ci verrà proprio da pensare a quante paure, che appartengono solo a noi, trasmettiamo ai bambini, limitando la loro voglia di giocare…

Davvero la buca è più pericolosa dell’altalena o del pallone?

O forse la buca è qualcosa di nuovo, di diverso e per questo fa paura?

I bambini non hanno ancora le nostre costruzioni mentali, non hanno ancora le nostre paure preventive, una cosa fa paura se rappresenta una reale minaccia, non una possibile minaccia…

Quando, un giorno, una bimba della classe cade dagli scalini della scuola e le esce un mucchio di sangue dal naso, i grandi vietano di giocare dentro la buca…

Ma perché? Mica nella buca ci sono dei pericolosissimi scalini… Perché si!

(Quando si rendono conto di non avere una reale risposta logica i grandi rispondono così!)

Come i bambini cercheranno di tornare a giocare, nonostante gli adulti, lo scoprirete leggendo il libro…

Quello che conta è che la prossima volta che il vostro bambino vi farà venire voglia di urlare per la paura in cima allo scivolo più alto del parchetto… aspettate, contate fino a tre, non urlate, respirate, ingoiate il nodo che vi stringe la gola…

Pian piano avvicinatevi chiedetegli se si sente sicuro nel fare quello che sta facendo… se vi risponde si… respirate nuovamente e ditegli che per la prima volta gli starete vicino così se dovesse avere qualsiasi tentennamento voi sarete lì accanto…

Se vi risponde no… chiedetegli come potete aiutarlo, se vuole che lo aiutate a scendere dallo scivolo, o vuole scivolare tenendovi la mano, o vuole che lo aspettiate alla fine…

Abbracciatelo e assicurategli che la prossima volta magari ci riproverà e magari ci riuscirà, o forse no… chi lo sa… ma voi sarete lì!

Non vorrete mica fare la brutta figura degli adulti musoni del libro???

La paura dei bambini

LA PAURA

È da poco passato Halloween… che lo festeggiate o no, è un po’ un emblema di quanto l’uomo ha sentito da sempre il bisogno di esorcizzare, nascondere e camuffare l’ignoto e l’oscuro, ciò che non vediamo e non conosciamo.

Cosa fare quando il bambino ha paura? Perché ha paura? Di cosa ha paura?

PER PRIMA COSA UN PO’ DI CHIAREZZA…

La paura è adattiva, è utile… insomma ci serve!!

La paura è una delle emozioni più primitive, più istintive. Hanno paura gli animali, i bambini, gli adulti: tutti noi abbiamo paura.

La paura ci aiuta a riconoscere ed evitare una minaccia, e poi ci aiuta a segnalare agli altri che è presente un pericolo. Perciò è un’emozione immediata, funzionale, essenziale per tutti gli esseri animali e quindi umani.

Ma di cosa hanno paura i bambini?

Proviamo a pensare un attimo alle nostre paure…

Qualcuno avrà paura del buio, qualcun altro avrà paura dell’altezza, qualcuno degli sconosciuti, qualcuno dei ragni, qualcun altro dei cani… può essere un elenco lunghissimo e variopinto.

Ognuna di queste paure, a suo modo, è potenzialmente pericolosa, ma perché non tutti hanno paura degli stessi stimoli?

Innanzitutto chiariamo che se un bambino richiama la nostra attenzione con insistenza appena resta al buio, mentre un altro ci chiede di spegnere la luce perché è divertente giocare a nascondino, non vuol dire che uno ha paura del buio e l’altro no: è solo un diverso modo di rispondere alla paura!

Di fronte a qualcosa che ci spaventa possiamo fuggire a gambe levate ed evitare la situazione spaventosa; possiamo trovare eccitante il lieve brivido che ci scorre lungo la schiena e l’idea di essere talmente potenti da poter sconfiggere la paura; possiamo scegliere di affrontarla, magari con un valido aiutante, come nelle migliori favole…

Un altro aspetto da chiarire riguarda il fatto che alcuni stimoli che impauriscono non sono indiscutibilmente pericolosi per tutti. Mi spiego meglio: a fronte dei milioni di amanti dei cani, ci sono milioni di persone che li trovano spaventosi e non ne accarezzerebbero mai uno… Perché?

Perché molto spesso è la nostra cultura, educazione, storia e definire cosa per noi è spaventoso

Molto probabilmente un bimbo messicano non sarà così spaventato da teschi e rievocazioni di spiriti, come ci insegna il film Coco… Il figlio di una famiglia di circensi potrebbe non provare terrore di fronte ad una tigre…

Questo che vuol dire? Che dovremmo esporre il nostro bambino a ogni tipo di stimolo, anche il più spaventoso, in modo che da adulto non abbia paura di nulla? Che bisognerebbe non aver paura di nulla davanti agli occhi di nostro figlio per comunicargli che la paura non esiste?

No!

La paura è importante, inevitabile come tutte le altre emozioni primarie, e va ascoltata e accolta.

L’antidoto per la paura è solo la rassicurazione!

Perciò? Che fare?

4 COSE DA EVITARE:

1.Mai prenderlo in giro! Se avete letto altri miei post sulle emozioni avrete ormai capito che questa è una cosa da non fare mai, per nessun tipo di evento nella vita del bambino… In questo caso prenderlo in giro porterà con sé la convinzione che non si possono esprimere liberamente le proprie emozioni e si sentirà inadeguato e in colpa

2. Evitare anche di iperproteggerlo, o di rassicurarlo in maniera eccessiva e teatrale, gli trasmetterà che c’è effettivamente uno stimolo molto spaventoso e una paura molto difficile da superare.

3. Evitiamo di esporre il bambino ad ogni tipo di discorso o immagine che trasmetta paura. Specialmente in questo periodo in cui tutto in tv parla di paura e di spaventosi virus, è importante non esporre il bambino a tv e discorsi: il rischio è che sentirà le paure altrui più forti delle proprie paure.

4. Non puntare sulla sua forza d’animo. Le paure vanno affrontate con pazienza e con il giusto tempo. Presentare al bambino lo stimolo pauroso troppo presto e in modo troppo diretto può trasformare la paura in terrore e ansia: supererà i suoi limiti quando vorrà e si sentirà pronto.

6 COSE CHE POSSIAMO FARE:

  1. Parola d’ordine: Rassicurazione! Facciamo capire al bambino che noi ci siamo, che qualsiasi cosa possa accadere noi gli saremo accanto, lo sosterremo e lo aiuteremo a superarla. In questo modo qualsiasi sia l’oggetto della paura non sarà così terribile!
  2. Permettiamo al bambino di esprimere le proprie paure, qualsiasi esse siano, semplicemente ascoltiamolo, stiamogli accanto.
  3. È importante che il bambino impari che la paura può essere superata, non che la paura non esiste! Trasmettiamogli che anche noi possiamo provare paura, ma che riusciamo a superarla e a parlarne prima che diventi terrore e ansia e fobia!
  4. Offriamogli la nostra presenza, la nostra vicinanza: non c’è mostro che non possa essere sconfitto grazie ad un aiutante efficace!
  5. Troviamo nei suoi libri o storie preferite degli eroi, a cui fare riferimento quando la nostra presenza fisica non è possibile, che lo accompagnino quando è solo, o in compagnia degli amici e che pian piano possano diventar parte di lui del suo mondo interiore.
  6. Se la paura è stimolata da un oggetto o un animale o una situazione fisica particolare possiamo avvicinarla pian piano insieme a lui, lentamente e in tappe successive.

DISTINGUIAMO LE PAURE

Le paure cambiano e si modificano nelle diverse età: se verso l’anno compare la paura dell’estraneo, e prima ancora la paura dell’allontanamento fisico della mamma, a 5 o sei anni può comparire la paura della scuola o del temporale… all’inizio ci sono paure più innate e primordiali, man mano che si cresce le paure diventano più cognitive e meno immediate.

Sono paure comprensibili e naturali: a sei mesi davvero un bambino senza la sua mamma non sopravvivrebbe, è il modo in cui la natura ci aiuta a prenderci cura del bambino quando ancora non sa esprimersi al meglio.

Quando inizia la scuola la paura è quella di un ambiente nuovo, o di una prova difficile da superare.

Le altre paure possono derivare da un trauma, un’associazione tra una determinata situazione e qualcosa di spaventoso.

Molto spesso la paura è legata a qualcosa che non si conosce o è di difficile lettura: è il caso della paura degli animali, il cui comportamento è di difficile interpretazione. Anche la paura del buio può appartenere a questa categoria, non si sa cosa ci sia nel buio, e perciò incute timore, ma può essere anche legata alla paura dell’abbandono e della solitudine.

Perciò è importante comprendere cosa c’è dietro la paura, per essere più efficaci e per aiutare al meglio il bambino. È importante sintonizzarci sulla giusta età del bambino, non trattarlo troppo “da grande” e nemmeno troppo “da piccolo”. Ogni età ha le sue parole, i suoi eroi e le sue modalità di affrontare le situazioni: facciamoci guidare dal bambino, facciamogli domande e ascoltiamo le risposte con empatia ed attenzione… ci indicherà la strada giusta!

UN’IMPORTANTE DISTINZIONE!

La paura è connotata da uno stimolo reale e possibile.

Quando la paura è marcata e persistente, eccessiva o non reale, provocata dalla presenza o dall’attesa di un oggetto o situazioni specifiche (per esempio: fobia di volare, di vedere il sangue, di ricevere un’iniezione, dell’altezza, di determinati animali) probabilmente è diventata una fobia.

Un’ulteriore prova è data dal fatto che l’esposizione all’elemento fobico provoca una risposta ansiosa immediata che può sfociare anche in attacchi di panico.

I bambini manifestano le loro ansie con scoppi di rabbia improvvisi, oppure irrigidendosi e piangendo e attaccandosi morbosamente alla presenza di qualcuno. Spesso la situazione fobica viene evitata, limitando anche la vita quotidiana…

Se notate questo tipo di paure, o anche se avete dei dubbi in merito cercate un professionista con cui parlarne: è meglio agire tempestivamente, evitando che la fobia diventi cronica e invalidante.

La didattica a distanza in adolescenza

LA DIDATTICA A DISTANZA

Ebbene si, è arrivato, il tanto temuto DPCM che impone il 75% della didattica a distanza per le scuole superiori è attivo.

Molto probabilmente i genitori si stanno chiedendo… Chissà che faranno a casa tutto il giorno mentre io sono al lavoro? Perderanno momenti importanti per la loro crescita sia relazionale che scolastica? Come faccio a fargli capire che è un periodo complicato in cui è necessario restare a casa senza spaventarli più del dovuto? Come responsabilizzarli rispetto all’importanza dell’autogestirsi rispetto alla DAD?

Molto probabilmente i figli si stanno chiedendo… riuscirò da solo a casa ad essere all’altezza della DAD? Come faccio ad essere vicino ai miei amici anche durante una pandemia, senza la scuola? A volte ho paura del covid, ma sono troppo giovane per ammalarmi sul serio…oppure… A scuola non mi trovavo bene, mi stancavo, mi prendevano in giro e prendevo brutti voti, in fondo non è male restare chiusi in casa!

SONO DOMANDE E PENSIERI LECITI, SANI E, PERCIO’, AMMISSIBILI!

CERCHIAMO DI RIFLETTERE INSIEME SULLE POSSIBILI RISPOSTE…

Iniziamo dal luogo della dad: è importante scegliere insieme ai ragazzi dove intendono sistemare il computer e creare uno spazio dove poter avere accanto libri e quaderni. Un luogo ben illuminato, lontano dalla tv, dove il segnale wifi arriva bene e dove il passaggio di fratelli o genitori può essere evitato o limitato. Si può esporre in questo spazio un planning con l’orario di dad e l’orario dedicato ai compiti post didattica e alle pause.

I tempi della dad: concordate insieme ai ragazzi, tenendo conto dell’orario stabilito dai professori, come gestire al meglio le ore, prevedendo insieme a lui pause in cui fare merenda, modalità con cui relazionarsi con i compagni, momenti in cui poter guardare i social…

Rispetto ai social: meritano un approfondimento. Infatti non illudetevi pensando che i ragazzi di non accedano ai social mentre hanno un device davanti: sono soli in casa e non sono sorvegliati da nessuno… è proprio una battaglia persa in partenza! Piuttosto si può chiedere loro di avere rispetto per l’insegnante e non distrarsi mentre spiega. Si può far notare loro che è difficile anche per i docenti questo nuovo modo di fare scuola e che è necessario l’impegno di tutti. Si può dare loro fiducia, spiegare ai ragazzi che siete sicuri che riusciranno a resistere per un paio d’ore senza guardare l’ultima notifica appena apparsa. E, se siete in smart working a casa, potete dar loro l’esempio: fate una gara, chi riesce a non guardare il cellulare per più tempo? Non fingiamo che anche noi non siamo dipendenti in una qualche maniera dai social!!!

Chiedete e ascoltate: quando tornate a casa, o quando terminate il lavoro, chiedete com’è andata, se sono riusciti a restare collegati per tutto il tempo, se hanno avuto problemi, di che tipo. Lodateli per la resistenza: richiede molta più energia cognitiva seguire attraverso uno schermo piuttosto che dal vivo.

Interessatevi a tutti gli ambiti della loro vita: non concentratevi solo sulla scuola, chiedete anche se sono riusciti a chiacchierare un po’ con i loro amici, se hanno visto un po’ di tv e cosa hanno visto.

Fate un esame di realtà rispetto al covid: è pericoloso, è importante essere attenti e rispettare tutte le misure igieniche che ci hanno insegnato in questi mesi, è importante che sappiano che un loro comportamento a rischio può essere pericoloso per loro, ma può essere molto più pericoloso per nonni e parenti più grandi. Ma non spaventateli, vivono un periodo difficile, sono bombardati da notizie e opinioni, non è necessario che anche i genitori contribuiscano a ciò.

Chiedete aiuto a tutta la famiglia: chiedete a nonni e zii di telefonare ai ragazzi mentre siete al lavoro, di mantenere un contatto (non troppo inquisitorio!) con loro attraverso chiamate e videochiamate; è un monitoraggio che può contribuire a farli sentire contenuti e visti, senza sentirsi troppo controllati.

Ricordate che siete gli unici, o fra i pochi, contatti in presenza che hanno. State loro vicino con tatto, parlate loro e dedicategli del tempo. Sarà sufficiente mezz’ora al giorno, ma di qualità, di ascolto e di vicinanza per comprendere se c’è qualcosa che non va.

Se vi accorgete che c’è un eccessivo ritiro dalla vita sociale, un isolamento, oppure notate comportamenti a rischio, che denotano scarsa protezione di sé, non esitate a rivolgervi ad un professionista che, agendo tempestivamente, potrà migliorare l’equilibrio familiare in  minor tempo.

Chiedimi cosa mi piace

CHIEDIMI COSA MI PIACE

   illustrato da Suzy Lee e scritto da Bernard Waber

Un libro che è un trionfo di colori autunnali, che profuma di foglie secche e di pioggia mattutina, di aria frizzante d’ottobre…

Un papà e una bambina, che si preparano per uscire, e poi, la magia del loro dialogo: non bisogna mai dare per scontate le risposte…

La bambina desidera che il papà le chieda cosa le piace, il papà scopre, domanda dopo domanda, sua figlia, la sua vita, i suoi desideri.

Questo libro mostra come porsi davanti al bambino in ascolto curioso e interessato, con atteggiamento aperto e accogliente.

Il papà impara come porre domande, e la bambina può riflettere su di sé, sui suoi desideri, su cosa le piace e cosa non le piace. Può così crescere, aumentare la sua autostima, essere rassicurata e sentirsi amata.

Un libro dai toni caldi, visivi ed emotivi.

Chiudendo il libro vi verrà spontaneo chiedere ai vostri figli: “Cosa ti piace?”

Resterete stupiti dalla profondità delle loro risposte… provare per credere!

La tristezza dei bambini

LA TRISTEZZA

Molto probabilmente adesso, un secondo dopo aver visto la foto del post, avrete gli angoli della bocca all’ingiù e una tipica espressione triste.

È quasi un riflesso incondizionato, è il modo con cui la natura ci guida già sulla strada giusta: il rispecchiamento di fronte ad un bambino triste è la cosa più sana e utile che possiamo fare.

Poi? Che si fa? Perché è triste?

PER PRIMA COSA UN PO’ DI CHIAREZZA…

I bambini provano tristezza!

Può essere difficile accettarlo e comprenderlo: siamo abituati a pensare all’infanzia come quel periodo spensierato e felice in cui è difficile collocare la tristezza. Ma è una falsa credenza, i bambini provano la tristezza, la manifestano e attraverso essa crescono, evolvono e cambiano.

La tristezza è il sentimento legato alla perdita, perdita di qualcosa o qualcuno di caro, amato, importante per noi.

Ciò che induce la tristezza può essere molto diverso tra bambini e adulti, da adulti non siamo più tristi per la perdita di un orsacchiotto di peluche, e i bambini probabilmente non sentono la tristezza per un’occasione mancata, ma il sentimento provato è esattamente lo stesso: un senso di vuoto, di mancanza, di sfiducia, a volte anche di solitudine e impotenza.

La tristezza ha una funzione fondamentale nella nostra vita: permette di riflettere su di noi, sui nostri sentimenti e attraverso l’accettazione e l’accoglienza ci aiuta a rielaborare, comprendere e infine a cambiare e a crescere. E infine ci permetterà di sentire la gioia…

Esattamente come negli adulti, la tristezza non sempre si manifesta con una particolare espressione del viso e con il pianto…

A volte potreste notare che il bambino dorme più del solito o al contrario non riesce ad addormentarsi; oppure che mangia meno o più del solito; potrebbero diventare iperattivi, a volte, anche aggressivi, oppure diventare apatici, isolati dagli altri; potrebbero essere più o meno loquaci del solito.

In ogni caso il vostro bambino esprimerà la sua tristezza a chi saprà accorgersi dei suoi piccoli o grandi cambiamenti. (http://www.alessandra-simone.it/2020/10/05/le-emozioni-nei-bambini/)

5 COSE DA EVITARE:

  1. Mai prenderlo in giro! Frasi come “sei una lagna!” “sei un piagnucolone” o peggio “i maschietti non piangono” o “fai la bimba grande, non piangere!” potrebbero essere dette senza pensarci troppo, d’istinto, perché in quel momento l’unica cosa che vorremmo è che il bimbo smetta di essere triste. In realtà sono frasi che inibiscono la sua espressione emotiva: la tristezza non farà altro che trovare altri modi per emergere, più profondi, più pericolosi e più difficili da gestire.
  2. .Non insistere troppo nel chiedergli la causa della sua tristezza: ci racconterà tutto se e quando si sentirà di farlo, quando sentirà il nostro sostegno, la nostra empatia per i suoi sentimenti e la nostra accoglienza. E, se non dovesse farlo, non importa, saremo molto più efficaci standogli accanto senza troppe parole!
  3. Sminuire i suoi sentimenti con frasi del tipo “è una stupidaggine”, “sono cose che capitano” “non si piange per una cosa del genere”. Per il bambino è importante! Queste parole non lo aiutano a comprendere, a riflettere o a crescere, anzi sminuiscono la sua autostima.
  4. Mai sgridarlo! Nasconderà solo la sua tristezza con la rabbia, rendendo inutile l’importantissima funzione di questo sacro sentimento.
  5. Non insistere solo sulla sua forza d’animo. “Sei forte, basta essere triste!” Farà crescere solo dei giganti dai piedi d’argilla, dei futuri adulti sostenuti solo da una finta corazza di argilla non sostenuta da una forza interiore reale acquisita pian piano con l’aiuto amorevole dei propri genitori.

5 COSE CHE POSSIAMO FARE:

  1. Osservare, notare piccoli cambiamenti, stargli accanto con delicatezza e tatto. Parola d’ordine: empatia!
  2. Spiegare al bambino che tutti possono provare tristezza, i nonni, gli zii, i genitori, gli amici e persino le maestre. E che ci potremo sentire meglio se abbiamo qualcuno accanto, se abbiamo la possibilità di parlarne e se accettiamo di poter essere tristi. Permettiamogli di essere tristi!
  3. Abbracciamolo. Offriamogli di piangere sulla nostra spalla, stiamogli semplicemente accanto anche senza parlare, per il tempo di cui il bambino ha bisogno.
  4. Possiamo avvalerci dell’aiuto di libri, storie, immagini, per imparare insieme a lui a distinguere le emozioni, a capirle e ad esprimerle al meglio.
  5. Specie con i bambini più piccoli (ma vale con tutti i bambini), leggere i loro comportamenti, non direttamente associabili alla tristezza, chiedendo loro cosa sentono. Potrebbe accadere che dovremo guidarli nelle risposte, ma mai rispondere al loro posto. Ad esempio “Cosa senti nella pancia?” “senti più una cosa bella o brutta?” “ti sei sentito così altre volte?” Aspettate le loro risposte, permettetegli di riflettere, di esprimersi come meglio credono… Ascoltateli.

LA TRISTEZZA NON SI PUO’ PREVENIRE…

Se nel caso della rabbia possiamo prevenire la sua espressione più feroce, (http://www.alessandra-simone.it/2020/10/12/le-emozioni-nei-bambini-la-rabbia/ ) per quanto riguarda la tristezza non solo non c’è nulla che possiamo fare per prevenire e proteggere il nostro bambino dal provare questo sentimento, per evitargli un dolore o per fare in modo che sia sempre felice.

Non solo non c’è un modo, ma se ci fosse sarebbe solo dannoso per lui: la tristezza è utile, è necessaria, è importante per la sua crescita e, soprattutto, è inevitabile!

Impariamo solo a tenergli la mano quando è triste!

ULTIMO PROMEMORIA!

Se vi accorgete che la tristezza dura per molti giorni, senza soluzione di continuità, anche molto tempo dopo l’evento che ha causato l’inizio del cambiamento d’umore;

se notiamo che il troppo o il poco sonno o l’eccessiva fame o l’inappetenza prolungata incide sulla sua vita relazionale o scolastica;

quando la tristezza non è più consolabile o come genitori sentiamo di aver bisogno di aiuto per gestire questa emozione…

Cercate un professionista con cui parlarne: è meglio agire tempestivamente, evitando che il bambino “normalizzi” un comportamento senza più collegarlo ad un reale evento di perdita o sconforto.

Il gruppo dei pari in adolescenza

IL GRUPPO DEI PARI

Spesso i genitori di adolescenti si sentono messi in secondo piano, sminuiti dal gruppo di amici che sembra aver rapito loro figlio.

Ma cosa rappresenta il gruppo per un adolescente?

  • Rispecchiamento:

vostro figlio sta diventando un adulto, ma non sa come si fa… nel gruppo trova un concentrato di potenziali caratteristiche che potrà osservare, in cui potrà riconoscersi e che potrà provare anche indirettamente, attraverso le esperienze degli altri componenti, e che potrà scegliere se fare proprie o meno.

  • Protezione:

nel passaggio da bambino ad adulto in divenire si troverà sempre più spesso ad affrontare nuove sfide, ad instaurare nuove relazioni e ad avere nuove paure, tutto questo spesso in un ambiente diverso da quello familiare; ecco che subentra il gruppo: una nuova famiglia, diversa dal nido dell’infanzia, con nuove modalità protettive e di sostegno.

  • Definizione della personalità:

attraverso le relazioni interne al gruppo viene definita la sempre più sfaccettata personalità del ragazzo, il nuovo ruolo sessuale, la sua autostima le sue nuove caratteristiche sociali che formeranno l’adulto che diverrà….

  • Sviluppo emotivo e cognitivo:

il riconoscimento di stati emotivi altrui, attraverso le nuove competenze relazionali e la capacità riflessiva sempre più accentuata sono proprio le esperienze di cui l’adolescente ha bisogno in questo momento per un adeguato sviluppo delle sue abilità cognitive ed emotive.

  • Soddisfa il bisogno di appartenenza:

uno dei bisogni fondamentali, viene sperimentato per la prima volta al di fuori dalla famiglia. Questo aiuta l’adolescente a sostenere il fisiologico processo di separazione continuando ad avere una rete di protezione anche lontano dal nucleo familiare.

Cosa possono fare i genitori?

Assodato che la funzione del gruppo è essenziale e fondante nel processo adolescenziale, cosa possono fare i genitori?

  • Definire orari, regole e luoghi chiaramente e precisamente:

concordare orari che comprendano lo studio, il giusto tempo per cena e riposo e il giusto tempo per svagarsi; chiedere dove si incontreranno, con quali mezzi; definire cosa non è assolutamente ammissibile all’interno delle regole familiari.

Le regole non devono essere imposte, a volte sarà necessaria una lunga ed estenuante trattativa, ma sarà importante per arrivare ad una regola chiara e rispettabile per tutti.

  • Creare più occasioni domestiche possibili per permettere l’incontro tra pari:

una cena fuori per i genitori può essere una buona occasione per organizzare una cena tra adolescenti in casa… avrete l’occasione di conoscere meglio i suoi amici, senza risultare troppo intrusivi e oppressivi.

  • Ascoltare senza giudizio:

non possiamo comprendere nel profondo tutte le dinamiche che contraddistinguono il gruppo, ma fidatevi se per vostro figlio sono cose di vitale importanza, empatizzate. Non vi viene chiesto di trovare una soluzione, solo ascolto e sostegno…

  • Fidarsi:

Ultimo ma non meno importante è far comprendere che riponete fiducia in lui… questo lo responsabilizzerà, e accrescerà la sua autostima, limitando le occasioni di pura emulazione.

Se tutto ciò non dovesse bastare…

Se notaste comportamenti che vi preoccupano eccessivamente potrebbe risultare importante e preventivo richiedere una consulenza o un supporto psicologico, per ripristinare l’equilibrio familiare ed evitare esiti difficili da gestire per la crescita sana del ragazzo.

Tutto passa… tranne…

MI LEGGI UN LIBRO?

LE COSE CHE PASSANO

Solo una cosa non passa mai…

  di Beatrice Alemagna

Un’influenza? Un ginocchio sbucciato? Passeranno…

Ma anche le bolle di sapone, una bella musica o la pioggia…

Un libro delicato, come tutti i libri dell’autrice, che porta i bambini (ma forse anche gli adulti) attraverso momenti belli e brutti, attraverso pensieri neri e musiche belle, perché tutto ha un suo tempo, passa e se ne va, ci rimane l’emozione che ci ha portato, ci resta un ricordo da conservare con cura.

Ci si può guardare attraverso, senza paura, come nel foglio trasparente del testo, che porta via le gocce di pioggia o le lacrime, per passare al disegno successivo…

Un libro poetico, bello al tatto, da leggere insieme, a bassa voce, in intimità col bambino…

Passerà anche quest’anno un po’ dispettoso, passeranno i momenti bui, ma passeranno anche le belle esperienze e quello che di buono c’è stato, perciò è importante assaporare tutto, con tutti noi stessi.

In questo periodo di incertezza, in cui i bambini vedono nel volto dei loro genitori la paura e la precarietà, è bello e importante far sentire il bambino amato e sostenuto: perché c’è solo una cosa che non passa mai… cosa sarà???