La tristezza dei bambini

LA TRISTEZZA

Molto probabilmente adesso, un secondo dopo aver visto la foto del post, avrete gli angoli della bocca all’ingiù e una tipica espressione triste.

È quasi un riflesso incondizionato, è il modo con cui la natura ci guida già sulla strada giusta: il rispecchiamento di fronte ad un bambino triste è la cosa più sana e utile che possiamo fare.

Poi? Che si fa? Perché è triste?

PER PRIMA COSA UN PO’ DI CHIAREZZA…

I bambini provano tristezza!

Può essere difficile accettarlo e comprenderlo: siamo abituati a pensare all’infanzia come quel periodo spensierato e felice in cui è difficile collocare la tristezza. Ma è una falsa credenza, i bambini provano la tristezza, la manifestano e attraverso essa crescono, evolvono e cambiano.

La tristezza è il sentimento legato alla perdita, perdita di qualcosa o qualcuno di caro, amato, importante per noi.

Ciò che induce la tristezza può essere molto diverso tra bambini e adulti, da adulti non siamo più tristi per la perdita di un orsacchiotto di peluche, e i bambini probabilmente non sentono la tristezza per un’occasione mancata, ma il sentimento provato è esattamente lo stesso: un senso di vuoto, di mancanza, di sfiducia, a volte anche di solitudine e impotenza.

La tristezza ha una funzione fondamentale nella nostra vita: permette di riflettere su di noi, sui nostri sentimenti e attraverso l’accettazione e l’accoglienza ci aiuta a rielaborare, comprendere e infine a cambiare e a crescere. E infine ci permetterà di sentire la gioia…

Esattamente come negli adulti, la tristezza non sempre si manifesta con una particolare espressione del viso e con il pianto…

A volte potreste notare che il bambino dorme più del solito o al contrario non riesce ad addormentarsi; oppure che mangia meno o più del solito; potrebbero diventare iperattivi, a volte, anche aggressivi, oppure diventare apatici, isolati dagli altri; potrebbero essere più o meno loquaci del solito.

In ogni caso il vostro bambino esprimerà la sua tristezza a chi saprà accorgersi dei suoi piccoli o grandi cambiamenti. (http://www.alessandra-simone.it/2020/10/05/le-emozioni-nei-bambini/)

5 COSE DA EVITARE:

  1. Mai prenderlo in giro! Frasi come “sei una lagna!” “sei un piagnucolone” o peggio “i maschietti non piangono” o “fai la bimba grande, non piangere!” potrebbero essere dette senza pensarci troppo, d’istinto, perché in quel momento l’unica cosa che vorremmo è che il bimbo smetta di essere triste. In realtà sono frasi che inibiscono la sua espressione emotiva: la tristezza non farà altro che trovare altri modi per emergere, più profondi, più pericolosi e più difficili da gestire.
  2. .Non insistere troppo nel chiedergli la causa della sua tristezza: ci racconterà tutto se e quando si sentirà di farlo, quando sentirà il nostro sostegno, la nostra empatia per i suoi sentimenti e la nostra accoglienza. E, se non dovesse farlo, non importa, saremo molto più efficaci standogli accanto senza troppe parole!
  3. Sminuire i suoi sentimenti con frasi del tipo “è una stupidaggine”, “sono cose che capitano” “non si piange per una cosa del genere”. Per il bambino è importante! Queste parole non lo aiutano a comprendere, a riflettere o a crescere, anzi sminuiscono la sua autostima.
  4. Mai sgridarlo! Nasconderà solo la sua tristezza con la rabbia, rendendo inutile l’importantissima funzione di questo sacro sentimento.
  5. Non insistere solo sulla sua forza d’animo. “Sei forte, basta essere triste!” Farà crescere solo dei giganti dai piedi d’argilla, dei futuri adulti sostenuti solo da una finta corazza di argilla non sostenuta da una forza interiore reale acquisita pian piano con l’aiuto amorevole dei propri genitori.

5 COSE CHE POSSIAMO FARE:

  1. Osservare, notare piccoli cambiamenti, stargli accanto con delicatezza e tatto. Parola d’ordine: empatia!
  2. Spiegare al bambino che tutti possono provare tristezza, i nonni, gli zii, i genitori, gli amici e persino le maestre. E che ci potremo sentire meglio se abbiamo qualcuno accanto, se abbiamo la possibilità di parlarne e se accettiamo di poter essere tristi. Permettiamogli di essere tristi!
  3. Abbracciamolo. Offriamogli di piangere sulla nostra spalla, stiamogli semplicemente accanto anche senza parlare, per il tempo di cui il bambino ha bisogno.
  4. Possiamo avvalerci dell’aiuto di libri, storie, immagini, per imparare insieme a lui a distinguere le emozioni, a capirle e ad esprimerle al meglio.
  5. Specie con i bambini più piccoli (ma vale con tutti i bambini), leggere i loro comportamenti, non direttamente associabili alla tristezza, chiedendo loro cosa sentono. Potrebbe accadere che dovremo guidarli nelle risposte, ma mai rispondere al loro posto. Ad esempio “Cosa senti nella pancia?” “senti più una cosa bella o brutta?” “ti sei sentito così altre volte?” Aspettate le loro risposte, permettetegli di riflettere, di esprimersi come meglio credono… Ascoltateli.

LA TRISTEZZA NON SI PUO’ PREVENIRE…

Se nel caso della rabbia possiamo prevenire la sua espressione più feroce, (http://www.alessandra-simone.it/2020/10/12/le-emozioni-nei-bambini-la-rabbia/ ) per quanto riguarda la tristezza non solo non c’è nulla che possiamo fare per prevenire e proteggere il nostro bambino dal provare questo sentimento, per evitargli un dolore o per fare in modo che sia sempre felice.

Non solo non c’è un modo, ma se ci fosse sarebbe solo dannoso per lui: la tristezza è utile, è necessaria, è importante per la sua crescita e, soprattutto, è inevitabile!

Impariamo solo a tenergli la mano quando è triste!

ULTIMO PROMEMORIA!

Se vi accorgete che la tristezza dura per molti giorni, senza soluzione di continuità, anche molto tempo dopo l’evento che ha causato l’inizio del cambiamento d’umore;

se notiamo che il troppo o il poco sonno o l’eccessiva fame o l’inappetenza prolungata incide sulla sua vita relazionale o scolastica;

quando la tristezza non è più consolabile o come genitori sentiamo di aver bisogno di aiuto per gestire questa emozione…

Cercate un professionista con cui parlarne: è meglio agire tempestivamente, evitando che il bambino “normalizzi” un comportamento senza più collegarlo ad un reale evento di perdita o sconforto.

La rabbia dei bambini

come gestire la rabbia dei bambini

Ho deciso di iniziare il nostro percorso (http://www.alessandra-simone.it/2020/10/05/le-emozioni-nei-bambini/) per comprendere, accogliere e valorizzare le emozioni dei bambini parlando della RABBIA.

È sicuramente il sentimento che spiazza di più i genitori, è quel sentimento che più genera frustrazione, nervosismo e evitamento nella famiglia, perciò è il più difficile da comprendere…

PER PRIMA COSA UN PO’ DI CHIAREZZA…

La rabbia può manifestarsi in vari modi: può essere che inizi a dire parolacce in famiglia o in pubblico, o che attui altri comportamenti proibiti, meno eclatanti della vera crisi di rabbia, ma continuative e irritanti; può portare rancore per molto tempo e in modo silenzioso o può trovare un capro espiatorio, un fratellino o un compagno di scuola, a cui fare ripetuti dispetti.

In questi casi si parla di collera inibita o non manifesta, è importante parlarne, far capire al bambino che sappiamo leggere i suoi sentimenti e che possiamo accoglierli e aiutarlo a superarli insieme. Possiamo usare varie strategie, a seconda dell’età, come ignorare il comportamento provocatorio, sdrammatizzare il peso che il comportamento ha su di noi, fargli comprendere che ci sono altri modi per esprimere la rabbia senza ferire gli altri.

Cosa ben diversa è l’episodio di rabbia acuta, che comporta un vero e proprio cambiamenti fisico nel bambino: aumento della pressione sanguigna, della frequenza cardiaca, diminuiscono gli ormoni del piacere e il bambino è più irrequieto e nei movimenti o sembra paralizzato imprigionato dalla tensione dei muscoli del suo corpo.

In questo stato il bambino è tanto arrabbiato quanto spaventato: sente una grande potenza dentro di se, ma una potenza che può rivelarsi distruttiva e che non sa come gestire.

Il bambino non può ascoltare in questo momento! Si può pensare che non voglia ascoltare quello che gli adulti gli dicono, potrebbe sembrare che sia maleducato, viziato, e che abbia bisogno di regole ferree… No! In quel momento proprio non può: tutto il suo corpo è impegnato a gestire lo stato di rabbia, non può recepire nuovi stimoli adesso.

6 COSE DA NON FARE:

  • Non urlare per placare le sue urla! Si creerebbe solo un vortice di rabbia da cui sarà difficile uscire per tutti…
  • Cercare di farlo ragionare…
  • Ritrattare la regola che ha generato la crisi di rabbia. La prossima crisi di rabbia sarà peggiore…
  • Non promettiamo punizioni che non daremo. Penseremo dopo se e che tipo di punizione possiamo attuare, dipenderà dall’età, dall’evento scatenante e dalla reazione che ha avuto.
  • Mai prenderlo in giro! Aumenta la sua rabbia, abbassa la sua autostima e genera sentimenti di vergogna.
  • Punirlo fisicamente (e non parlo di percosse, che penso siano da NON AGIRE MAI), per esempio farlo sedere nel momento del picco rabbioso o, peggio, mandarlo a letto. In quel momento è essenziale per lui scaricare l’energia fisica con il movimento, l’importante è proteggerlo da agiti violenti e pericolosi per lui e per gli altri.

5 COSE CHE POSSIAMO FARE:

  • Trovare la nostra calma… può sembrare scontato, può sembrare inutile, ma è fondamentale: contiamo fino a 10, se necessario, un bel respiro profondo e poi ci avviciniamo al bambino con calma e fermezza.
  • Parliamogli con un tono di voce basso e pacato, non è importante quello che gli diciamo, non spieghiamogli nulla adesso, possiamo mostrargli che abbiamo compreso quanto sia arrabbiato, che la rabbia è un’emozione permessa, e che gli vogliamo bene anche in quel momento e gli siamo vicini.
  • Abbracciamolo, prendiamogli le mani, guardiamolo negli occhi. Deve sentire di non essere pericoloso, di essere sostenuto anche in quel momento, di essere contenuto (NON COSTRETTO).
  • Permettiamogli di muoversi: una corsa nel corridoio, strapazzare un cuscino, urlare in un barattolo… sono tutti agiti non pericolosi, che gli faranno scaricare la tensione fisica, aumenteranno gli ormoni positivi e gli faranno prendere coscienza della potenza della sua energia, in modo che impari a calibrarla sempre meglio.
  • SOLO DOPO aver superato il picco dell’emozione, quando ci appare più in ascolto e meno teso, possiamo parlargli. Possiamo spiegargli che sappiamo che quanto è successo (il no che gli abbiamo detto, la rottura di un suo giocattolo preferito, la necessità di mettere un giubbotto piuttosto che un altro, ed ogni altro tipo di innesco possibile) può averlo fatto molto arrabbiare, ma che ci sono delle regole e delle necessità che i genitori devono insegnare. Può arrabbiarsi, e noi gli vorremo bene anche quando è super arrabbiato, ma le regole non cambiano. Si può anche riconoscere che c’è stata un’eventuale ingiustizia, ma che voi gli siete vicino e cercherete di capire con lui come rimediare.

PREVENIRE E’ MEGLIO CHE CURARE

La rabbia è un’emozione primaria che si manifesta dai primi mesi di vita del bambino, con modalità che vanno dal pianto disperato dei neonati, ai comportamenti oppositivi dei 2 anni, alle manifestazioni eclatanti dei 4 anni alle risposte seccate e aggressive dei 6 anni, e così via…

Va da se, quindi, che non è possibile prevenire l’emozione in sé, ma è possibile limitare nella frequenza e nell’intensità le sue manifestazioni.

Come?

Anticipare al bambino quello che faremo e secondo quali tempistiche e modalità;

Dargli delle alternative ai “no” che gli diciamo;

Organizzare tempi e spazi in modo da rispettare le promesse che gli facciamo;

Non agire in emergenza! (La mattina prima di andare a scuola è già un momento di fermento familiare: prepariamo cartella e vestiti la sera prima!).

Qualche esempio:

 “oggi andremo al supermercato, non compreremo un giocattolo, ma se vuoi dopo passiamo dal parco…”

“Domani potrebbe essere necessario mettere il giubbotto, so che non ti piace metterlo, ma ti permetterà di giocare in giardino con gli altri amici a scuola”

“non possiamo andare adesso al parco, ma sabato potremmo organizzare una gita tutti insieme!”

“Abbiamo da fare delle faccende un po’ noiose, potresti portare un libro con te, da leggere mentre aspetti”

ULTIMO PROMEMORIA!

Se vi accorgete che le crisi di rabbia sono incontrollabili, mettono il bambino o gli altri in pericolo, sono frequenti e difficili da placare, cercate un professionista con cui parlarne: è meglio agire tempestivamente, evitando che il bambino si percepisca pericoloso, che venga etichettato come “aggressivo” a scuola, che venga isolato dai pari… tutto ciò potrebbe innescare un circolo vizioso di ulteriori e più potenti espressioni di rabbia del piccolo e di tutta la famiglia, ed un percorso più lungo e articolato di cura.

compiti a casa istruzioni per l’uso

Tra le tematiche che più mi capita di incontrare, quando incontro le coppie genitoriali dei piccoli pazienti, di sicuro la più controversa riguarda i compiti a casa.

C’è chi aiuta i bambini sedendosi accanto e svolgendo i compiti insieme a loro parola per parola, numero per numero, con tanto di interrogazione e verifica serale.

C’è chi ha deciso che devono cavarsela da soli, senza se e senza ma, perché solo così impareranno.

C’è chi decide che le insegnanti diano pochi compiti o troppi compiti, perciò usano il libero arbitrio anche nell’educazione scolastica del proprio figlio.

Tutti questi casi hanno un denominatore comune: fare i compiti a casa è uno strazio tanto per i figli quanto per i genitori.

ORA… DUE PICCOLE PRECISAZIONI:

La prima: Nessuno, ma proprio nessuno, ha mai detto che i compiti a casa devono essere divertenti, o facili, o piacevoli. Così come noi adulti non sempre troviamo piacevole o divertente o facile il nostro lavoro, i ragazzi possono trovare noiose delle materie, difficili altre materie o più gratificanti altre attività…

È SANO, FISIOLOGICO E GIUSTO…

I compiti insegnano anche questo: c’è bisogno di Impegno, Costanza, Fiducia per ottenere dei risultati, per crescere e per sentirsi appagati e gratificati. Non mentiamo ai nostri figli, chiedendogli di fare i compiti con gioia, o dicendo che la nuova ricerca di storia è avvincente e stupenda, ci arriverà da grande, proprio come avete fatto voi…

La seconda: Occorre “La giusta distanza”. Mai come in questa frase assume più senso. Occorre permettere al bambino di sentirsi capace di “fare da solo” , superando anche delle difficoltà; ma è anche necessario che il genitore sia presente, magari nella stanza accanto, magari ritagliandosi uno spazio dopo cena… una presenza discreta, ma che rappresenta per il bambino una base sicura, a cui poter chiedere come affrontare un compito, non come farlo… Il genitore potrà aiutarlo a recuperare del materiale, o a comprendere cosa non ha capito per permettergli di porre le giuste domande, potrà incoraggiarlo, permettergli una pausa rigenerante, concordare orari e gratificazioni. Vostro figlio si sentirà sostenuto, accompagnato, ma scoprirà di saper fare, di riuscire… la sua soddisfazione saprà ripagarvi di tutte le volte che l’avrete sentito sbuffare.

ALCUNE PICCOLE ISTRUZIONI PER L’USO:

  1. Create insieme al bambino/ragazzo uno spazio che sia bello, luminoso, confortevole per poter svolgere i compiti in tranquillità. Non occorre che sia nella sua stanza, ma deve essere uno spazio solo suo, e deve essere curato e funzionale. Alla fine dei compiti va messo a posto il materiale e riordinato i libri e i quaderni.
  2. Siate presenze discrete e di sostegno: una buona merenda per spezzare un tempo lungo sui libri portata da mamma, papà o nonna o tata può essere un buon carburante per continuare con più motivazione.
  3. Rassicuratelo, si può non saper svolgere un compito, è importante comprendere perché e come poter rimediare. La prossima volta andrà meglio.
  4. I contenuti multimediali, internet e i social erano una novità per noi della generazione passata, perciò ci piaceva cercare contenuti e approfondimenti su internet. Per loro è la norma! Provate a portarlo in biblioteca già da quando è piccolo, fategli scoprire musei, strade sconosciute della vostra città… la ricerca sul campo è una novità per questa generazione e perciò è molto più accattivante!
  5. Gratificatelo, lodatelo per i successi….
  6. Ultima, ma forse la più importante, lodate e gratificate il suo impegno anche quando ha un insuccesso.

L’AMORE DEI GENITORI NON E’ NEGOZIABILE:

IL BAMBINO DEVE ESSERE SICURO DI ESSERE AMATO SENZA SE E SENZA MA… anche se ha preso un brutto voto!